Le acque si sono calmate, la smentita non è arrivata ma il “non vedo il senso dell’operazione” di Warren East, CEO di ARM, è un segnale abbastanza chiaro circa gli esiti di questo rumor.
Mi piacerebbe tuttavia sollevare alcune riflessioni sulla vicenda, per capire anzitutto se e quanto il rumor abbia le gambe per camminare, e cosa ci potremmo aspettare nel caso in cui si trasformi in realtà.
Iniziamo individuando la questione che penso più di ogni altra, abbia “tenuto in piedi” la speculazione: come dicevamo qualche mese fa, Apple è un’azienda che ama avere sempre le mani libere.
Si sforza cioè di mantenere sotto il proprio diretto controllo la maggior parte dei fattori che contribuiscono alla performance ed esperienza dei suoi prodotti, dal design ai processi produttivi, fino alle componenti.
Memore del colossale ritardo accumulato da IBM nella produzione di processori G5 per portatili Apple, l’azienda di Cupertino lavora attivamente per aumentare il tasso di intercambiabilità di qualunque suo fornitore e tenersi in casa competenze chiave – come nel caso dell’acquisizione di PA-Semi o dell’acquisto di una quota di Imagination Technologies.
In quest’ottica perché non portarsi in casa il proprietario della IP dei chip che finiscono in ogni iPhone e iPad? Dopotutto le casse di Apple contengono circa 41,7 miliardi di dollari e ARM si potrebbe acquisire con una frazione di quella somma.
Prima del rumor di questi giorni, mi sono trovato spesso a domandarmi se per Apple valesse la pena di acquisire ARM tout court, piuttosto che continuare a prenderne in licenza la proprietà intellettuale.
Inizialmente, mi sono posto la questione esclusivamente nei termini di: ci sono i soldi, perché non farlo? Dopotutto se IBM avesse acquisito Intel alla fine degli anni ’80, non avrebbe posto fine alla rivoluzione dei cloni che poi l’ha travolta?
Se IBM avesse acquisito Intel, sarebbe rimasta felice e contenta col suo PC, avrebbe eventualmente soffocato in un pugno di ferro i produttori di cloni, e per essere certa dell’impermeabilità dei suoi confini, avrebbe ritirato le licenze a tutti i produttori alternativi di CPU x86.
Nel fare tutto ciò tuttavia, avrebbe creato un’enorme opportunità di mercato per CPU alternative ad x86, ipotizziamo 68k, che avrebbero colto l’occasione della chiusura di x86 per dominare tutto il mercato non-IBM – mentre IBM, con una piattaforma a tutti gli effetti chiusa, ne avrebbe presidiato solo una piccola parte.
Le economie di scala della piattaforma 68k avrebbero consentito a Motorola di spendere molto nell’evoluzione dell’architettura. IBM/Intel al contrario, con vendite di diversi ordini di grandezza inferiori, sarebbe inevitabilmente rimasta al palo. Esattamente come succedeva al Mac ai tempi del PPC.
L’indicazione che questo esempio ci offre è molto chiara: come nel caso Intel, acquisire ARM, significherebbe soffocarla. L’azienda di Cambridge vive della sua indipendenza, del fatto di non dovere lealtà ad alcuno dei suoi clienti più che ad altri.
Quand’anche Apple, dopo aver acquisito ARM, tentasse di convincere i licenziatari che tutto rimarrà come prima, gli avversari reali (MIPS) o potenziali (Intel) di ARM non mancherebbero di affilare le armi per proporre una piattaforma alternativa, davanti al concreto sospetto che Apple tenga la miglior tecnologia per sé o piuttosto decida repentinamente di lasciare tutti a piedi.
Questo, beninteso, oltre ad essere un problema di ARM, rappresenterebbe anche un problema per Apple, allorquando dovesse spiegare agli investitori di aver bruciato un quinto delle sue riserve per un’acquisizione il cui principale effetto pratico consiste nella frammentazione del mercato CPU mobile, in cambio della proprietà esclusiva di una tecnologia che di lì in avanti dovrà rinunciare alle economie di scala che l’hanno resa dominante.
In ultima analisi l’unico scenario in cui credo Apple considererà di acquisire ARM è quello in cui un suo concorrente diretto mostri intenzione di farlo, affrontando tutte le conseguenze citate. Sempre che poi Apple non decida di perseguire una strada alternativa.
PS Fra i commenti al rumor, ho letto “non vogliamo un’altra Alpha”. Il parallelo è del tutto improprio. DEC Alpha (qui un nostro contributo su Alpha) era una piattaforma leader prestazionale in un segmento piccolo ma molto lucrativo. Fu fatta fuori (relegata ad una piattaforma monobrand lo era già) da un gioco perverso condotto da HP ed Intel, per lasciar spazio ad Itanium. Un’architettura che commentatori competenti in materia hanno dichiarato a più riprese del tutto fallimentare, peraltro annichilita dai progressi in ambito enterprise delle soluzioni x86.
Per chi volesse approfondire la questione segnalo il commento di Nick Farrell su The Inquirer e quello di Jon Stokes su ArsTechnica.