In Italia i media tradizionali faticano da sempre a comprendere Internet. Un uso spesso inesatto dei termini, la ben provata incapacità di analizzarne tempestivamente i contenuti e le tendenze, hanno creato negli anni un gap piuttosto evidente fra chi frequenta la rete e chi invece la conosce dal riflesso televisivo.
Se quanto detto risponde al vero, è naturale che quei fenomeni che hanno origine in Internet e crescono oltre i suoi confini, siano mal compresi. E in generale, la storia insegna che negli spazi di incomprensione, attecchisce spesso la manipolazione.
Fra i tanti episodi che hanno portato la “versione televisiva” di Internet sotto le luci della ribalta, Beppe Grillo è il più dirompente di sempre. Il comico genovese è stato capace di dar vita ad una vasta community, dimostratasi perfino – caso unico al mondo – capace di invadere il mondo “offline”, portando intatte le proprie istanze e i propri contenuti. Fatto raro in un’epoca in cui, per molti versi, Internet sembra divenire un mezzo di evasione dal reale, una dimensione parallela dell’espressione individuale, un cyberspazio strutturato in cui è possibile costruire una “seconda vita”.
Oggi l’approccio grilliano alla rete è sotto fuoco incrociato, oltre che per i contenuti, per il metodo in cui il comico genovese usa la rete. È proprio la veemenza delle critiche “metodologiche” che intendo in questa sede commentare.
Dopo esser stata pressoché ignorata da mass media, la manifestazione dell’otto settembre li ha invasi come una nuvola carica di pioggia. Sgomenti per il furore della protesta, giornalisti e autoproclamatisi massmediologi hanno assediato i più autorevoli palcoscenici mediatici. Non hanno quindi esitato a scomodare McLuhan, Orwell, Orson Welles, per spiegare al mondo il potenziale manipolatorio di Internet, la capacità di questo medium di fomentare populismo e demagogia.
Un articolo in particolare, ha concentrato molte autorevoli critiche al “metodo grilliano”, dipingendo il fenomeno a tinte foschissime: fra massmediologi che cadono dal pero ed altri che vanno di “però vi avevamo avvertito”, la tesi dell’articolo è che Grillo abbia mostrato il “lato scuro” di Internet, abbia cioè trovato il modo di renderla strumento d’avanguardia per la manipolazione delle coscienze.
Vittorio Zambardino, uno dei più famosi blogger italiani, nell’articolo afferma candidamente: “Pensavamo che Internet fosse un mezzo ugualitario, sereno e dai dialoghi ragionati: invece il caso Grillo mostra che la potenza della tecnologia funziona al servizio di un disegno carismatico, semplificatorio e sommario”. Come sia possibile sorprendersi di ciò, dopo che abbiamo visto valere prima e meglio le identiche leggi per tutti gli altri media, è difficile capire; ancor più difficile è comprendere come possa mai la rete divenire terreno per antonomasia di disegni “carismatici, semplificatori, sommari”.
E continua: “Grillo ci ha mostrato che il furore sta alla comunicazione via Internet come l’ossigeno all’aria: la compone, le dà significato e senza quella non esisterebbe nemmeno”. Con un colpo di spugna dunque, tutto ciò che di bene è stato mai detto di Internet va in fumo: il suo “furore” sembra ora tenere il passo della volgarità, rissosità e approssimazione che la TV porta come vessilli. E intanto quegli anticorpi che hanno reso la rete il luogo dell’informazione “plurale” per eccellenza, si trasformano improvvisamente nel virus che fa di essa il crogiolo della demagogia e dello sproloquio, come ci spiega Paolo Landi: “In questo momento all’ultimo post di Grillo ci sono 2.433 commenti che il mio pc fatica ad aprire. Ma chi li legge? E chi ha voglia di rispondere a 2.433 sconosciuti o anche a uno solo di essi? Più che un contraddittorio sembra uno sproloquio. Collettivo, ma pur sempre sproloquio”.
Di una levata di scudi “metodologica”, verrebbe comunque da ringraziare il cielo perché, se non altro, sottolinea il problema dell’uso a fini manipolatori dei mass media: problema sul quale il giornalismo italiano sorvola da decenni – se non con riferimenti “partitici”. È però difficile non notare che queste imponenti critiche “metodologiche”, calzano molto meglio ai media tradizionali che a Internet – qualcuno potrebbe addirittura considerarle una ghiotta occasione per disinnescare i contenuti della protesta. Attenti dunque a insistere su queste note: l’incoraggiata paura del “sesto potere” potrebbe ritorcersi contro i primi cinque.