Mentre in Europa il Large Hadron Collider continua imperterrito ad aumentare l’energia delle collisioni al suo interno, raggiungendo il record di 7 TeV nel centro di massa, ovvero sparando tra di loro due protoni di 3.5 TeV ciascuno (TeV= tera electron volt), dall’altra parte dell’oceano i collider esistenti si stanno dando da fare per produrre più risultati possibili finché sono ancora in tempo, finché l’LHC non li supererà in energia e potenza.
Se la stanno cavando piuttosto bene a dire la verità.
In particolare due acceleratori hanno fatto fuoco e fiamme negli ultimi anni: il Tevatron, nell’istituto Fermilab di Chicago e il RHIC, nell’istituto di Brookhaven a Long Island, New York. I due acceleratori si occupano di cose diverse: il Tevatron è l’equivalente dell’LHC, ovvero accelera protoni e li fa collidere ad altissime energie, per studiare il comportamento di singole particelle ad alti regimi energetici.
Il RHIC invece, studia l’interno dei nuclei atomici. In particolare fanno collidere tra di loro due nuclei di oro (Au+Au) ad energie del centro di massa di 200 GeV per capire come si comporta la materia, i nuclei e quindi gli atomi, in condizioni di alta energia. 200 GeV può sembrare un numero basso rispetto ai 7 TeV dell’LHC, ma bisogna tener conto che qui si parla di nuclei, e anche abbastanza pesanti.
Utilizzare nuclei, quindi oggetti più “densi di materia” permette di studiare il comportamento della materia in condizioni estreme, cosa che utilizzando solo singoli protoni non è possibile fare. Infatti, anche l’LHC ha in progetto un programma di ioni pesanti (ovvero nuclei pesanti), in particolare per l’esperimento ALICE, il successore di STAR, l’esperimento del RHIC di cui parliamo in questo post.
I risultati di questo esperimento sono sempre più soddisfacenti. Non è molto vecchia la scoperta del cosidetto “quark gluon plasma“, una sorta di zuppa che si forma quando i due nuclei si scontrano ad altissime energie. Sappiamo che i nuclei atomici sono formati da protoni e neutroni.
E sappiamo anche che i protoni e neutroni non sono particelle elementari, ma sono a loro volta formati da particelle ancora più piccole chiamati quark. I quark sono tenuti assieme gli uni con gli altri per formare protoni e neutroni da particelle chiamate gluoni, “collanti”. Quando due nuclei si scontrato ad energie così intense questi collanti non riescono più a tenere assieme i quark, che si liberano nello spazio.
Così, nel momento dello scontro, i due nuclei non sono più due entità, ma quello che si osserva è un plasma (o zuppa ;-) ) di quark e gluoni, appunto definito come “quark gluon plasma”. Il vantaggio di avere americani nella collaborazione è che sono molto bravi a comunicare, per cui ecco a voi un bel video che spiega il processo:
Questo plasma riproduce in un certo senso la condizione in cui si trovava l’Universo pochissimi millisecondi dopo l’esplosione del Big Bang. Di certo è la condizione che possiamo riprodurre che più vi si avvicina, raggiungendo (seppur in una dimensione microscopica) la temperatura più alta dopo quella del Big Bang vero e proprio: 4 trilioni di gradi.
C’è una particolare domanda che i fisici si pongono pensando al Big Bang e a cui non sanno ancora dare risposta: perché adesso non vediamo nessun nucleo di antimateria in giro, mentre si sa che all’epoca del Big Bang c’era equilibrio tra materia e antimateria? Attualmente il nucleo di antimateria più pesante presente in natura, o almeno nell’ambito di osservazione dell’uomo, è l’antinucleo di idrogeno, ovvero un antiprotone. Vediamo anche antielettroni (positroni), ma non si legano in anti-idrogeno. Perché quindi è così difficile per noi vedere antimateria?
Si può pensare allo scontro dei due nuclei di oro come a un mini laboratorietto in cui si ricrea la condizione iniziale dell’Universo, subito dopo il Big Bang. In questa “zuppa” vi è l’equilibrio tra quark e antiquark, per cui, quando il plasma si raffredda vengono espulse tutta una serie di particelle e antiparticelle, tra cui protoni e particelle dette “strane” poiché sono costruite con un tipo di quark molto particolare, con delle proprietà diverse da quelli che formano protoni e neutroni, e che si chiama appunto “quark strange”.
Le particelle che contengono il quark strano vengono chiamate iperioni (hyperon) e, quando un nucleo contiene una di queste particelle si chiama ipernucleo (hypernucleus). A questo punto possiamo riscrivere la famosa tabella periodica degli elementi, aggiungendovi un asse, rendendola quindi tridimensionale.
Il terzo asse rappresenta la stranezza. Vediamo un’illustrazione sulla destra.In pratica sopra la tabella periodica possiamo mettere gli ipernuclei e sotto, quando la stranezza è negativa, cioè quando il nucleo è formato da un’antiparticella strana, avremo gli anti-ipernuclei. Quindi si apre un’intero mondo di nuovi elementi sopra e sotto gli elementi classificati da Mendeleev, che fa in un certo senso da confine tra materia (con stranezza positiva) e antimateria (con stranezza negativa).
Complicato a dirsi, ma ancora più complicato a farsi. Eppure la collaborazione STAR, l’esperimento del RHIC che si occupa di questo, ha creato una particella composta da un anti-neutrone, un anti-protone e un anti-lambda, dove lambda è appunto una di queste particelle “strane”. Ma è l’antinucleo di che cosa?
Beh, in realtà, di niente che conosciamo. Nuclei e antinuclei stanno sopra e sotto la tabella periodica, per cui i “nostri” elementi sono nel piano, tranquilli. In pratica l’ipernucleo formato da un protone, un neutrone e un lambda è una specie di versione cicciona dell’idrogeno, una via di mezzo tra l’idrogeno e l’elio con in più la “stranezza”.
Beh, perché risponde alla più grande esigenza che i fisici hanno nello spiegare l’Universo: la ricerca della simmetria. È evidente da questo quadro che quello che vediamo attorno a noi, in queste condizioni di quiete, è solo un sottoinsieme, una fetta dell’Universo e delle possibili forme di materia che esso racchiude.
È evidente che in fase di formazione c’erano molto più particelle, che si legavano in molti più nuclei, formando molta più materia. Poi, quelli più “semplici”, o comunque gli stati più conservativi da un punto di vista energetico hanno avuto la meglio, ma osservare solo quello che abbiamo sotto mano è molto limitante e lascia aperti molti dubbi. Vediamo un po’ di antimateria, ma non a sufficienza da comprenderne la natura. Eppure ricostruendo le condizioni iniziali dell’Universo tutto appare più chiaro, tutto riprende la sua simmetria, basta aggiungere una dimensione alla classica tavola di Mendeleev, e tutto torna.
Per chi ha coraggio da vendere, l’articolo originale è a disposizione qui o sulla rivista Science.