Apprendo da La Stampa che Telecom sarebbe in procinto di entrare nel mondo e-reader, con un dispositivo brandizzato, associato a una piattaforma di distribuzione e un sistema di pagamento.
Obiettivo per nulla celato di Telecom, è quello di traghettare l’editoria cartacea italiana verso il “nuovo mondo” digitale, offrendo a tutti un “sistema standard” (formati? dominio de facto? non è chiaro a cosa si riferisca esattamente con queste parole l’AD di Telecom Bernabè) e “condizioni estremamente vantaggiose”.
In questi termini, l’idea di Telecom ha senso ed è perfettamente coerente con il gioco “al ribasso” avviato da Apple con il lancio di iPad: un ribasso che chiaramente riguarda le quote trattenute dal vettore, a vantaggio di autori ed editori.
Individuo tuttavia due ordini di problemi nell’approccio di Telecom, il primo comune a tutto il mercato e-reader, il secondo prettamente politico.
Partiamo dal presupposto che nessuno vuole portarsi dietro dieci dispositivi per accedere a dieci bouquet diversi di informazioni: non esistendo una piattaforma standard di contenuti premium, le piattaforme (e-reader+store) che non raggiungono una massa critica sono destinate alla marginalità.
La rilevanza di una piattaforma e-reader per un editore è fortemente dipendente dalle vendite: se la contraerea di Apple ed Amazon riuscisse a relegare l’e-reader di Telecom ad una nicchia, come convincere gli editori nazionali a non abbandonare la barca?
C’è un secondo problema, ed è proprio del mercato editoriale nazionale, al 99% risalente a gruppi di potere, spesso politicamente schierati. Anche la galassia Telecom rientra in questo ambito e, ad oggi, appare abbastanza lontana per esempio da quella Mediaset – Mondadori, che legittimamente potrebbe puntare su un suo e-reader e comunque con riluttanza accetterebbe di vedere i suoi contenuti in un e-reader magari marchiato Olivetti – nome riecheggiante i “days of wine and roses” della sinistra italiana.
Una nota riguardante il “formato standard” che rappresenterebbe uno dei punti di forza di Telecom: esiste dal 2007, si chiama EPUB, è sviluppato dalla International Digital Publishing Forum (IDPF), supporta il DRM.
Sembrerà strano ma, se questo formato non domina il mercato dei contenuti premium, non dipende dall’assenza di dispositivi che lo supportino quanto, piuttosto, da decisioni “politiche”, legate all’influenza dei più popolari produttori di e-reader. Già, perché ogni produttore ama giocare la sua partita in casa, col pieno controllo del suo dispositivo, coi suoi lock-in sul formato.
La decisione di abbracciare un formato standard per i contenuti premium potrebbe derivare solo dalla volontà collettiva degli editori, che in teoria avrebbero il potere per dettare le loro condizioni ai produttori di e-reader anche sul fronte formati.
Le solite reciproche diffidenze e rivalità – che, beninteso, non appartengono alla sola Italia – impediscono anche a questa ovvia innovazione di farsi strada, lasciando che il mercato sia dominato dai lock-in dei più grandi produttori di e-reader.
Quali sono dunque le chance di successo dell’operazione Telecom? A mio avviso risiedono nell’integrazione del dispositivo con la filiera di servizi che TI già eroga a una grossa fetta del pubblico italiano, e in qualche accordo che di certo Bernabè ha nel taschino.
Il mercato non ha bisogno di standard aperti perché già ce li ha e non li usa. E forse non ha nemmeno bisogno di un altro e-reader dato che ce n’è già a bizzeffe, di chiusi e di aperti, e non solo Apple o Amazon, o Android o Microsoft.