L’acquisizione di Sun da parte di Oracle ha suscitato scalpore per le dimensioni e la fama dei due colossi, ma soprattutto ha provocato parecchi mal di pancia agli affezionati della casa di Santa Clara, che in men che non si dica si sono visti colorare il sito di quel rosso tanto caro, invece, alla casa di Redwood City (anch’essa californiana).
Ovviamente la causa di questo malcontento non è la variazione cromatica, la quale rappresenta soltanto la percezione visiva e immediata che, inevitabilmente (e bruscamente), “qualcosa è cambiato”.
Il lauto pasto di Oracle non è stato, però, consumato senza problemi in quanto, data la natura delle due multinazionali che avevano interessi comuni, la finalizzazione dell’operazione è stata subordinata all’approvazione delle autorità antitrust dei paesi più importanti: USA, Unione Europea e Giappone.
E’ importante ripercorrere le tappe in modo da comprenderne meglio la portata e le implicazioni. L’annuncio arriva inaspettatamente ad Aprile del 2009, dopo che l’azienda aveva valutato negativamente una precedente offerta da parte di IBM, ritiratasi nel momento in cui era venuta a conoscenza della presenza di un’altra azienda interessata.
C’è da sottolineare che, complice la crisi e magari alcune operazioni sbagliate (quella dell’acquisizione di MySQL in primis), la situazione finanziaria di Sun non era certo delle migliori, con un 2008 disastroso dove ha visto perdere l’80% del suo valore di mercato e l’ha, quindi, resa facile preda di altre aziende che, invece, hanno continuato a prosperare.
Incassato il primo sì dagli USA ad Agosto 2009, ha trovato il primo ostacolo nella Commissione Europea, che a Novembre 2009 ha messo le mani avanti a causa del “conflitto d’interessi” derivante dal fatto che Oracle sviluppa il ben noto (e apprezzato in ambito enterprise) database che ne porta il nome, mentre dall’altra parte troviamo già citato MySQL.
Il rischio appare evidente: Oracle in posizione dominante in questo mercato sarebbe capace di schiacciare la concorrenza, facendo lievitare i prezzi dei sistemi a danno dell’utenza finale.
In questo contesto s’inseriscono le esternazioni di Richard Stallman, noto guru e messia evangelizzatore del software libero di cui abbiamo già avuto modo di parlare in passato, il quale sostiene che potrebbe venirne bloccato lo sviluppo, che un fork non sarebbe possibile per problemi di incompatibilità della licenza (esclusivamente GPL versione 2), e che la comunità impiegherebbe parecchio tempo per arrivare a un prodotto di qualità simile ripartendo da zero (qui trovate una sintesi in italiano, mentre qui il testo integrale in inglese), per cui invita la commissione a obbligare Oracle alla cessione dell’asset di MySQL a un’altra azienda che ne continui lo sviluppo.
La Commissione Europea impiega due mesi per esaminare il caso, ma accoglie le tesi dell’acquirente e a gennaio del 2010 dà parere favorevole all’acquisto, che pertanto viene finalizzato da Oracle e Sun qualche giorno dopo.
Vengono, allora, smontate le tesi di Stallman, e non poteva essere altrimenti per la natura stessa del prodotto: MySQL, sebbene disponibile con una doppia licenza, rimane comunque un progetto open source a cui chiunque può contribuire, e di cui è sempre possibile effettuare il fork (tra l’altro ne esistono già per questo database relazionale).
Il vincolo della licenza, che è GPL ma soltanto in versione 2, non è pesante come sostiene Stallman, dalle cui parole sembra evidente che tenga particolarmente alla versione 3 della stessa. Ma progetti come Linux, ben più complesso, noto e diffuso di MySQL, che è saldamente ancorato alla versione 2, dimostrano che le incompatibilità sbandierate non sono un problema.
Infine, è sicuramente vero che MySQL è il più grosso e diffuso progetto di database open source, ma esistono anche altre valide (a mio avviso anche di più) alternative. Viene citato PostgreSQL nella sentenza, e mi permetto di segnalare anche l’ottimo FireBird.
Dunque perché mai MySQL sarebbe dovuto rimanere fuori dalla vendita di Sun? Perché una società terza avrebbe dovuto farsi carico dell’acquisizione di MySQL e portarne avanti lo sviluppo? All’atto dell’acquisizione da parte di Sun, MySQL AB aveva un valore pari a circa un miliardo di dollari, per cui è chiaro che questa società poneva un enorme impegno finanziario e di supporto nello sviluppo di questo progetto, ma cosa succederebbe se venisse meno? La comunità open source che vi ruota attorno non sarebbe forse in grado di provvedere e continuare autonomamente?
Con ciò riprendo il tema segnalato nel titolo dell’articolo: l’open source riuscirebbe a sopravvivere senza i finanziamenti dei privati? Ovviamente non mi riferisco a progettini di poco conto, perché una risposta affermativa alla domanda sarebbe banale da dimostrare.
MySQL è, a mio avviso, un caso abbastanza emblematico di come i soldi e l’enorme supporto garantito da un’azienda privata abbiano contribuito a creare un progetto di una certa qualità (personalmente ho esperienze e opinioni diverse su questo prodotto, ma non è l’argomento dell’articolo e rimangono in ogni caso mie idee) che compete con prodotti rinomati e proprietari.
Un altro è rappresentato sicuramente da Linux, se consideriamo che la stragrande maggioranza dei contribuiti (circa il 75%) arriva da società private, e in particolare da multinazionali del calibro di Red Hat (ovviamente), Intel, IBM, Novel, e persino la stessa Oracle, lasciando a circa il 25% il supporto proveniente dal lavoro di appassionati.
Dunque l’open source non può vivere senza i soldi dei privati? Oppure, ribaltando la prospettiva, sono i privati che hanno bisogno dell’open source per poter sopravvivere? Perché senza ombra di dubbio avranno il loro tornaconto nell’investire soldi in queste realtà: non dimentichiamoci che si tratta di aziende votate al lucro, non a fini umanitari.
La questione non è semplice, anche perché c’è da tenere conto del fatto che queste società che finanziano progetti open source, non l’hanno abbracciato interamente. Infatti e tanto per fare un esempio, IBM continua a tenersi stretta i sorgenti di DB2 (database relazionale col quale divide il mercato con Oracle e Microsoft) e OS/2 (s.o. che rimane ormai abbandonato, ma di spessore e portato avanti fino a qualche anno fa).
Possiamo, quindi, prendendo in prestito un noto detto, affermare anche in questo caso che “senza soldi non si canta messa“?