La celebre relazione del “The globalisation institute” di Bruxelles, ha portato agli onori delle cronache un problema ben noto ad appassionati ed esperti del settore già da alcuni anni. Affidandomi alla vostra pazienza, mi occuperò della questione in due puntate. Nella prima, getterò uno sguardo alle radici del problema, non senza premettere una breve analisi di scenario. Nella seconda mi occuperò più approfonditamente della situazione attuale e cercherò di ipotizzare delle vie d’uscita.
Veniamo a noi. Il problema del “monopolio” nel campo dei sistemi operativi non è affatto una novità. Lo ritroviamo oggi nell’agenda mediatica mondiale, più che altro grazie all’ottimo tempismo con cui il citato Globalisation Institute ha rilasciato la sua relazione: esattamente nella fase culminante del dibattito sulle sanzioni europee contro Microsoft.
Provo dunque a riassumere i termini del cosiddetto monopolio Microsoft, usando come esempio il più controverso OS della sua storia, Vista. Fra dati di vendita poco incoraggianti e press release entusiastiche, farsi un’opinione è difficile, complice la non sempre lusinghiera reazione della stampa specializzata alle novità che il nuovo OS propone. Il problema è che oggi, più che su meriti o demeriti dell’OS, la posizione dominante di Microsoft è principalmente frutto di accordi pressoché esclusivi con la maggioranza dei produttori di hardware, che riconoscono in Windows lo standard di fatto del settore; questo fa sì che le vendite del nuovo sistema operativo siano più o meno direttamente proporzionali a quelle dei PC (l’assenza di dati numerici affidabili circa il volume complessivo di OS alternativi a Vista finora consegnati, m’impedisce di essere più preciso, ma è fuor di dubbio che l’alternativa più richiesta sia Windows XP).
È dunque questa la più solida garanzia per il mantenimento della quota di mercato del gigante di Redmond, indipendentemente dalle vendite delle versioni retail dell’OS, le quali portano sì un margine molto più elevato, ma contano solo in piccola parte sulla diffusione complessiva del sistema operativo.
Come si è giunti a questo punto? Per far luce sulle circostanze che hanno reso Windows uno standard di mercato, è necessario dare all’analisi un taglio storico ed imparziale, che tenga conto sia dei colpi bassi, che di alcune geniali iniziative commerciali.
Voglio precisare che non sono affatto un tifoso di Microsoft. La mia disposizione tendenzialmente critica non m’impedisce tuttavia di scorgere nel suo successo degli spunti di alta scuola imprenditoriale. È d’altronde difficile immaginare un imprenditore che, nella posizione dei fondatori di Microsoft, avrebbe evitato di sfruttare a suo massimo vantaggio le favorevoli circostanze di mercato che ha contribuito a creare.
Le radici storiche del problema portano alla luce un dato allarmante: quella che si mette oggi in discussione è la stessa idea imprenditoriale che, negli anni, ha posto le basi per il successo di Microsoft sul mercato. L’idea, attuatasi in vari stadi nel corso di circa un ventennio, è stata quella di creare un sistema operativo capace di adattarsi ai computer più diffusi ed abbinarlo alla vendita degli stessi – un paradigma opposto a quello adottato da Apple, il cui core-business era agli inizi principalmente legato all’hardware, e che ancor oggi propone un abbinamento pressoché fisso fra Mac e Mac OS.
Le origini di questa idea affondano nell’epoca più spumeggiante della storia informatica (imperdibile è nel merito il film “Pirates of Silicon Valley”): un’epoca in cui il computer iniziava a divenire “personal”, nel senso che andava diffondendosi fuori dai CED ed entrava nelle case di un numero sempre più nutrito di appassionatissimi e competentissimi hobbisti. Competentissimi, sì, perché a quel tempo gli utenti erano costretti sviluppare algoritmi in modo estremamente difficoltoso, tanto per la rudimentale interfaccia, quanto per l’altrettanto rudimentale sistema di programmazione.
Fu allora che Bill Gates e Paul Allen ebbero l’idea di sviluppare un interprete del linguaggio BASIC, per uno dei più diffusi computer per hobbisti dell’epoca: il MITS Altair – uno scatolone pieno di led, schede e chip, basato sulla CPU Intel 8080 e venduto in kit con una rivista di elettronica dell’epoca. Nacque così l’Altair-BASIC, prodotto dalla Micro Soft (questa era la ragione sociale dell’azienda all’epoca) e, guardacaso, distribuito dalla stessa MITS assieme ai suoi computer. [Alla luce di quanto scritto su Gary Kildall, ci tengo a precisare che fu il suo CP/M il primo OS venduto in bundle con un computer – ndr]
Questa mossa ebbe l’effetto di semplificare l’uso dell’Altair, sollevando gli appassionati dall’obbligo di programmare in linguaggio macchina e creando le premesse per un allargamento del mercato dei computer al di fuori della casta dei sacerdoti dell’opcode.
Non desidero in questa sede addentrarmi nei passi successivi della marcia trionfale del gigante di Redmond. Mi basta dire che, a partire da allora, accordi sempre più stringenti e lucrativi per la distribuzione bundled ne hanno costruito l’enorme successo sul mercato – primo fra tutti, quello che ha legato IBM a Microsoft. Tutto ciò, malgrado tali accordi avessero spesso come oggetto prodotti clonati e/o di qualità non entusiasmante. Come in tutte le migliori avventure imprenditoriali, ha giocato la sua importantissima parte anche il caso. In particolare la nascita dello standard PC, contemporanea all’ascesa di Microsoft (già partner di IBM), ha fatto sì che la quasi totalità dei produttori di “cloni” del PC IBM, incalzata dal dinamicissimo reparto commerciale Microsoft, equipaggiasse i propri prodotti con MS-DOS e poi Windows, creando così le basi per la piattaforma Wintel.
Il passato sembra dunque dimostrare ciò che è stato sostenuto all’inizio dell’articolo: è su una base prettamente commerciale che Windows è divenuto lo standard di fatto. Su come e se sia possibile mutare in corsa le logiche che da trent’anni governano il mercato informatico, azzarderò qualche ipotesi nella prossima puntata.