Il progresso tecnologico -è già stato detto milioni di volte- è una corsa. A cosa? A tantissime cose. Una di queste è, ad esempio, la densità: tanti dati in poco spazio.
Si è partiti da oggetti ormai dimenticati, che data la mia giovine età non ho mai utilizzato né visto, come le schede perforate (e quant’altro prima di esse), si è passati per i floppy-disk e si è arrivati a quel fantastico oggetto che è il CD. Poi c’è stato il boom dei semiconduttori, ed ecco chiavette USB e hard-disk a stato solido. Ed ora di nuovo al formato compact-disc con il Blue-Ray.
L’idea è quella, “semplice” e lodevole, di mettere in un singolo supporto sempre più dati, possibilmente contenendo le dimensioni.
Ormai da alcuni anni è in atto una ricerca sui cosiddetti Holographic Versatile Disc (HVD), con promesse di capacità di alcuni TB e definizioni video altissime, il tutto in un disco poco più grande di quelli attuali.
Sono detti “holographic” perché si basano sul divertente fenomeno fisico dell’olografia che, come quasi tutti sanno, è ciò che permette di riprodurre otticamente le relazioni spaziali tra i punti di un oggetto e la posizione dell’osservatore. La teoria sottostante questo fenomeno è molto complessa, e valse a Gabor il premio Nobel per la Fisica. Per farla (molto) breve, attraverso l’interferenza di due fasci laser ed una speciale lastra fotografica è possibile sfruttare la coerenza della luce per riprodurre immagini (statiche, per ora) in 3 dimensioni: riusciamo, dunque, ad aggiungere la terza dimensione a quella che sarebbe una classica fotografia (paragone tecnicamente molto improprio, ma che rende l’idea: sia chiaro che non è possibile fotografare un bel panorama e poi riprodurlo in olografia; il concetto si applica a singoli oggetti).
Come si vede in figura, un HDV legge/registra i dati da/su una lamina olografica posta verso la superficie del disco usando un laser nel verde (intorno ai 500 nm di lunghezza d’onda). La memorizzazione olografica consiste nell’immagazzinare dati in un cristallo non solo planarmente ma sfruttando anche la terza dimensione: questo consente di migliorare sensibilmente la densità di memoria disponibile a parità di volume rispetto a tecnologie planari, come il classico DVD. La posizione all’interno del disco è invece letta da un fascio nel rosso (sopra i 700 nm) da un sottile strato di alluminio posto sul fondo del supporto. Per evitare che la luce verde penetri fino all’alluminio, al di sotto del materiale olografico è posto uno specchio dicroico (molto selettivo in frequenze) che lascia passare soltanto il laser preposto alla lettura delle informazioni di posizione.
Al di là di questa -molto banalizzata- spiegazione tecnica quali sono oggi i maggiori problemi di un tale dispositivo di memoria?
Prima di tutto, allo stato attuale, la potenza necessaria al laser di lettura è di 1 Watt, assolutamente eccessivo per un mercato consumer (e non solo) dove contenere i costi energetici è vitale. E’ facile immaginare infatti come in quest’ottica sia improponibile un lettore HVD per computer portatili, ad esempio.
In secondo luogo, cosa succede se un disco contenente alcuni TB di dati si riga e diventa illeggibile? Anche su questo aspetto si sta lavorando, cercando materiali difficilmente scalfibili e tentando di migliorare la resistenza generale del supporto. E’ chiaro infatti come sia necessario assicurare una “certezza del dato” se si vuole soppiantare con successo altri supporti pre-esistenti.
Concludendo, quello che ci possiamo domandare a questo punto (e sul quale può essere interessante un dibattito tra i lettori) è: quanto questo nuovo supporto di memoria sarà un successo commerciale, supponendo che vengano risolti brillantemente i due problemi di cui sopra? Non è più probabile un miglioramento delle capacità degli HDD portatili, certamente più voluminosi ma forse più resistenti e soprattutto che non necessitano di un lettore dedicato per essere sfruttati?