Nella prima metà degli anni ’80, prima del boom dei cloni e il relativo crollo dei prezzi a livelli “taiwanesi”, prima dello standard de facto DOS-Intel e poi Wintel, il mercato informatico era un fortissimo fermento: una pletora di aziende di medie o piccole dimensioni competevano sul mercato a fianco dei big, spingendo l’innovazione a velocità impressionante.
Effetto collaterale di questa competizione, cui non era ovviamente estranea la lotta sui prezzi, era – oltre alla direzione “anarchica” delle evoluzioni, una forte instabilità del mercato e una marcata tendenza alla mortalità delle piccole aziende che vi partecipavano. Congiuntura quest’ultima, accelerata dalla discesa in campo del PC IBM e del mercato dei cloni cresciuto sotto l’egida di Microsoft.
Quella che racconteremo in questa nuova puntata della rubrica dedicata al big bang dell’industria informatica, è una storia che si svolge proprio nel periodo tratteggiato. La storia è quella di Adam Osborne, fondatore della Osborne Computer Corporation, un’azienda la cui ascesa e il cui declino sono divenuti l’emblema del caos primordiale della Silicon Valley nei primi anni ’80.
L’epopea di Adam Osborne, “imprenditore seriale” ante litteram, non inizia né termina con la OCC: nel corso di questa succinta panoramica esploreremo anche le mosse di Osborne nel mondo dell’editoria specializzata e la sua avventura nel campo del software.
Leggendo credo converrete con me nel ritenere Osborne forse non l’archetipo dell’imprenditore – imperatore stile Jobs o Gates, nondimeno un personaggio di prima grandezza, il cui percorso ha attraversato alcuni dei grandi “bivi” della storia informatica.
Come molti imprenditori della Silicon Valley, Osborne attorno alla metà degli anni ’70 frequenta assiduamente l’Homebrew Computer Club. In quel periodo è già attivo sul fronte editoriale, con una piccola casa editrice che pubblica testi divulgativi sui temi dell’informatica.
I testi della Osborne&Associates (1972-1979) affrontano temi complessi con un linguaggio adatto al crescente pubblico di hobbisti, e ottengono una buona popolarità sul mercato: nel 1979 la MCGraw-Hill acquisisce la Osborne&Associates per 3 milioni di dollari – niente male per un business iniziato 7 anni prima con una spesa di $ 5000.
Osborne, forte di una buona reputazione nella Silicon Valley e di un’ampia rete di contatti, compie il grande passo verso il mondo dell’hardware: assume Lee Felsenstein, altro frequentatore abituale dell’Homebrew Computer Club, nonché creatore del popolare Sol-20 (basato su Intel 8080), con l’obiettivo di progettare un computer trasportabile di basso costo, nel cui business case gioca un ruolo fondamentale il bundling di software di produttività – una scelta di “scuola IBM”.
Nel 1981 l’azienda fondata da Osborne diventa Corporation e l’Osborne 1 debutta alla National Computer Conference, riscuotendo grandi successi. Al prezzo inferiore ai $ 2000, l’Osborne 1 include software per un valore di $ 1500, grazie ad accordi fra l’azienda e varie software house.
Come si vede nella figura, il computer si presenta con un layout orizzontale e la tastiera a fare da coperchio. Chiuso somiglia dunque ad una voluminosa valigia, di dimensioni tuttavia idonee al trasporto in aereo come bagaglio a mano – da cui la definizione di computer “trasportabile”.
Il peso dell’unità è rilevante – oltre 10 Kg – e il monitor integrato a fianco dei lettori floppy è molto sacrificato, con una dimensione di soli 5″. Ciononostante le vendite, che iniziano a luglio del 1981, sono sorprendenti, al punto da sovraccaricare pesantemente la capacità degli impianti produttivi – Osborne nel frattempo lavora anche come editorialista per Infoworld (qui alcuni suoi contributi).
Malgrado alcuni difetti produttivi, che costringono al richiamo di oltre 100.000 unità, l’azienda va a gonfie vele e gli investitori giubilano: a meno di un anno dal lancio del primo sistema, Osborne prevede vendite totali per oltre 250 milioni di dollari.
La concorrenza non tarda a svegliarsi, ed arriva presto sul mercato con un sistema che, ad un prezzo molto competitivo, ripara al principale deficit dell’Osborne 1: la dimensione del display. Il competitor si chiama Kaypro II, un sistema ben noto agli appassionati di retrocomputing, ed offre, ad un prezzo più basso dell’Osborne, un display da 9″.
La risposta di OCC, il modello Executive, non convince la clientela: il successore del famoso Osborne 1 costa più del Kaypro e offre un display da soli 7″. Come sottolinea il popolare columnist Bob Cringely, questa banale constatazione sfata il mito del cd. “effetto Osborne”, ovverosia l’azzeramento delle vendite dovuto all’annuncio troppo anticipato di modello successivo.
L’effetto Osborne, secondo questa versione dei fatti, consisterebbe piuttosto nell’errore di fidarsi troppo del proprio brand, pensando di poter imporre alla clientela un prodotto tecnicamente inferiore a un prezzo superiore a quello della concorrenza, ma anche questa facile conclusione andrebbe arricchita di analisi sulla situazione produttiva e finanziaria della OCC che non abbiamo modo di svolgere in questa sede.
Con i magazzini ancora pieni di Osborne 1, gli ordini dell’Executive che non decollano, alcuni problemi produttivi, risorse insufficienti da dedicare al successore dell’Executive, OCC si trova anche ad affrontare l’ira degli investitori circa alcune irregolarità contabili e, contemporaneamente, la necessità di attuare forti tagli di prezzo.
Massicci licenziamenti precedono la bancarotta, dichiarata nel settembre del 1983 a fronte di una situazione finanziaria divenuta insostenibile: a poco più di due anni dalla nascita, la OCC chiude i battenti, avendo alle spalle una crescita senza precedenti e un declino altrettanto fulmineo. È il lato violento della Silicon Valley, quella “sottile linea rossa” che separa il successo dal fallimento in un contesto ipercompetitivo.
L’avventura della Osborne Computer Corporation, qui raccontata con un volo radente, rappresenta un formidabile case study circa le prima fasi dell’industria informatica, ed è oggetto di un interessantissimo libro scritto a quattro mani dallo stesso Osborne assieme al celebre editorialista John C. Dvorak: Hypergrowth: The rise and fall of the Osborne Computer Corporation.
L’avventura imprenditoriale di Adam Osborne, com’è il caso per molti famosi imprenditori americani, non si ferma tuttavia con il fallimento di OCC. Prosegue, questa volta in ambito software, con la fondazione della Paperback Software International Ltd. (1984), un’azienda specializzata nella realizzazione di software office a basso costo.
L’azienda acquisisce una certa fama con VP-Planner, uno spreadsheet visualmente molto simile a Lotus 1-2-3 e ricco di funzioni aggiuntive fra cui la gestione di semplici database, proposto sul mercato ad una frazione del prezzo di 1-2-3.
In un quadro legislativo del tutto indeterminato circa il copyright in ambito software, Lotus denuncia la Paperback Software nel 1987, adducendo come motivazione le similarità visuali e d’interfaccia di VP-Planner rispetto al suo prodotto.
La causa si conclude due anni dopo a favore di Lotus – malgrado il programma della Paperback non includesse una sola riga di codice sorgente Lotus – con il ritiro di VP-Planner, cui segue l’abbandono di Osborne da ogni incarico presso l’azienda.
Si tratta di un precedente epocale nella storia del software, che mette in una diversa prospettiva anche la questione QDOS-CP/M trattata a proposito di un altro grande pioniere dell’industria, Gary Kildall.
Interessante peraltro ricordare che lo stesso 1-2-3 è un equivalente funzionale di Visicalc (di cui abbiamo parlato qualche settimana fa), il primo spreadsheet nella storia informatica.
A pochi anni dalla conclusione della causa contro la Paperback, nel 1992, Osborne torna in India – la terra della sua prima infanzia – dove passa, fra grossi problemi di salute, gli ultimi anni della sua vita. Morirà a Kodaikanal nel 2003, generando il solito codazzo di “coccodrilli”.
Diversamente dalle leggende metropolitane – che gli intitolano la “tipica fesseria” dell’imprenditore hi tech – la sua figura, presente in tutti crocevia della “preistoria” informatica, rimane eminentissima, oltre che di grande ispirazione per chi nel passato cerca ancora chiavi per comprendere il presente e gettare uno sguardo al futuro.
Ricordiamolo dunque con questo straordinario aforisma, di qualche valore anche per aspiranti imprenditori e, più in generale, per il tessuto economico nazionale, che ancora associa il fallimento all’infamia: “The most valuable thing you can make is a mistake – you can’t learn anything from being perfect.”