Sensorama, la realtà virtuale degli anni ’60

Da qualche tempo stiamo assistendo ad una progressiva convergenza di due dei poli del mondo dell’intrattenimento: il cinema e i videogiochi.

Il catalizzatore che fomenta questa convergenza si chiama “immedesimazione”: in campo cinematografico le nuove tecnologie permettono di creare opere che portino lo spettatore non più “davanti allo schermo”, ma “dentro al film” (è una filastrocca ripetuta miliardi di volte in occasione dell’uscita nelle sale di Avatar) mentre nel campo videludico – che di sua natura offre già una forte componente di interazione – si tendono a creare titoli dalla consistente struttura narrativa, in maniera che il gioco non sia più una semplice attività fine a se stessa ma possa assurgere al rango di “esperienza”.

Ovviamente l'”immedesimazione” non è solamente il connubio di una storia coinvolgente e di una componente di interazione. Affinché si possa parlare di vera immedesimazione è necessario che tutti i cinque sensi vengano coinvolti nell’esperienza di fruizione. Quali saranno pertanto i prossimi passi volti a seguire il traguardo dell’immedesimazione?

Nel 1962 antesignano di questa concezione, ovvero del coinvolgimento dell’intera percezione sensoriale in un’esperienza di intrattenimento, fu Morton Helig, a tutti gli effetti il vero padre del concetto di realtà virtuale, con la costruzione di un ingombrante macchinario meccanico chiamato Sensorama.

L’aspetto ricorda quello di un cabinato da sala giochi: l’utilizzatore di Sensorama poteva prendere posto dinnanzi ad uno schermo in grado di mostrare immagini stereoscopiche, corredato di meccanismi per la diffusione di aromi e odori e di altoparlanti stereo, canalizzatori d’aria per simulare l’effetto del vento sul volto. L’utente andava ad accomodarsi su un sedile dotato di contrappesi e leve per le sensazioni di ondeggiamento del corpo e appoggiava le mani su un manubrio per la restituzione delle sensazioni tattili.


Sensorama, di cui fu prodotto un solo prototipo per via dell’incapacità di trovare qualche finanziatore sufficientemente folle da a supportare Helig, dava la possibilità di fruire di cinque brevi spezzoni audio-tattilo-olfatto-visivi in grado di farne apprezzare le potenzialità.

Le tecnologie disponibili attualmente sono in grado, certo almeno sulla carta, di poter dare una nuova primavera al progetto Sensorama di Helig. Pensiamoci: le tecniche per la stereoscopia, pur considerabili ancora “acerbe” per molti versi, sono in grado di restituire una convincente percezione visiva della spazialità. I sistemi audio a molteplici canali riproducono una buona spazialità sonora. La realizzazione di guanti e calzature contenenti sia sensori di movimento, sia dispositivi per il feedback tattile non è nulla di impossibile. Magari poco più ingombrante, ma comunque fattibile, un sistema capace di simulare l’azione di forze sul corpo umano (forza centrifuga e forza di gravità, giusto per citare le prime che mi vengono in mente). Sicuramente niente di avveniristico un diffusore di odori, aromi, spruzzi e sbuffi d’aria, tant’è che qualcosa di simile viene già realizzato in alcuni parchi di divertimento a tema per la proiezione di spettacoli in 4D.  Lo stesso Avatar è stato proiettato in 4D in Corea.

E’ davvero così futuristico pensare ad un qualcosa che, basandosi su una adeguata commistione di tecnologie, possa essere  una completa fusione tra film e videogioco? Un’esperienza immersiva a tutto tondo, dove narrazione e interazione siano legate a doppia mandata, un’esperienza che ci ponga davanti a scelte e a conseguenti evoluzioni diverse (un po’ come le storie a bivi di Topolino). Dove magari tutti i sensi potranno concorrere in maniera concreta all’evoluzione della “storia interattiva”, cioè recuperando la loro funzione primaria di raccolta di informazioni e non più di semplice “mezzo” per la conquista dell’immersività.

Quanto si assottiglierà (e con che velocità) il confine tra reale e virtuale?

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