Oggi, qualcuno dirà “finalmente”, comincerà un miniciclo dedicato ad una delle stagioni più importanti nella storia dei videogiochi.
Il titolo parla chiaro, ma cerchiamo di contestualizzare meglio l’ambito nel quale ci muoveremo.
In realtà, se ci avete fatto caso, abbiamo già posato qualche tessera del puzzle, soprattutto per quanto riguarda la parte ludica vera e propria. Molti dei titoli protagonisti delle puntate di questa rubrica sono infatti riconducibili proprio al periodo “16 bit”.
Thunder Force 4, Streets of Rage, Earthworm Jim, Killer Instinct, Strider, Street Fighter II, Final Fight sono solo alcuni dei (tanti) capolavori sviluppati per le piattaforme dell’epoca.
Dopo quindi aver abbozzato una panoramica sul software, ci concentreremo sull’hardware, analizzando gli attori principali, le alterne fortune, i flop, i top e le console war che infiammarono la scena nei primi anni ’90.
Prima di cominciare, una doverosa precisazione.
Il titolo non è propriamente esatto. Cesare di Mauro ha scritto qualche mese fa un ottimo articolo sul Motorola 68000, CPU montata su buona parte delle console e schede arcade dell’epoca, “una rivoluzione a 32 bit” per usare le sue stesse parole.
D’altra parte per i Mhz, anche il mito dei bit è stato utilizzato dalle case produttrici come leva sul pubblico per spingere all’acquisto delle nuove piattaforme.
Una semplificazione dettata dal marketing non sempre esaustiva anzi spesso portatrice di fraintendimenti.
Il problema è che molti ricordano gli scontri di allora (in particolare tra Mega Drive e Super Nintendo) come una battaglia tra “16 bit”, da qui la scelta del titolo, un titolo che facesse rievocare in voi, lettori affamati, vecchi ma non del tutto sepolti, ricordi.
Torniamo a noi. Siamo nella quarta generazione, un periodo fondamentale per due motivi.
Il primo perché rappresentò la fine di un’epoca. Le cartucce, la convinzione e la possibilità di realizzare videogiochi di spessore con budget tutto sommato modesti, quando nacquero dal nulla software house ora vere e proprio multinazionali, quando tutto sommato il videogioco era vissuto come un fenomeno ancora abbastanza “di nicchia”.
Tutto questo prima dell’avvento della Playstation che, volenti o nolenti, bisogna ammettere ha rivoluzionato il mercato, facendo diventare l’industria dell’entertainment videoludico un business da decine di miliardi di dollari l’anno, trasformandolo nel fenomeno di massa qual è oggi, aprendo le porte all’uso del cd, così pratico e poco costoso da fabbricare, ma anche così poco…vintage.
E nacque in questi anni anche la Rolls Royce delle console, il Neo Geo, vero trait d’union tra le diverse generazioni, quasi immortale se si pensa alla sua longevità ed al piacevole ricordo lasciato tra gli appassionati.
Molti però non sanno o non ricordano che il primogenito di questa numerosa e variegata famiglia, il capostipite di una dinastia di successo fu il Turbografx-16.
Ci siamo già occupati di NEC e di alcune console prodotte da questo famoso vendor nipponico, molto più prestigioso a dire il vero in Sol Levante di quanto lo fosse negli States ma soprattutto, ahinoi, in Europa.
L’interesse nell’elettronica di consumo risale in realtà alla fine degli anni ’70 quando la proprietà decise di virare verso il crescente settore dei computer, ormai in pieno boom. Ha inizio l’era C&C, ovvero l’integrazione tra computer e comunicazioni. Alcune acquisizioni mirate portano ad avere sufficiente know-how per produrre in proprio semiconduttori e nel 1980 ha la luce il primo chip, un DSP (Digital Signal Processor) recante firma NEC: il µPD7710.
Nel frattempo Hudson Soft riceveva il benservito da parte di Nintendo per la fornitura di processori dedicati alla grafica. Dopo aver monitorato con attenzione le fortune del FamiCom, NEC intravide il possibile affare e decise di stringere un accordo con il nuovo partner; una situazione che ricorda per le modalità la vicenda SNES-CD e la conseguente nascita della Playstation, di cui abbiamo già avuto modo di parlare.
Nel 1987 la collaborazione porta finalmente i suoi frutti.
Il 30 ottobre comincia la commercializzazione del PC Engine (o TurboGrafx-16 Entertainment SuperSystem).
La risposta del pubblico fu subito positiva, grazie anche alla forza e popolarità del marchio.
Le caratteristiche del nuovo arrivato erano le seguenti:
• CPU: HuC6280 (versione modificata del 65SC02 a sua volta derivato del 6502) con clock variabile a 1.79 o 7.16 Mhz tramite switch software
• RAM: 8KB dedicati al sistema, 64KB VRAM
• GPU: due processori, l’HUC6260 per la parte di encoding e processing delle informazioni, l’HUC6270A dedicato alla visualizzazione su display.
• Video: risoluzione fino ad un massimo di 565*242 pixel ( anche se maggior parte utilizzava il formato 256*239) con una palette di 512 colori di cui 482 visualizzabili contemporaneamente, 64 sprite di dimensioni fino a 32*64
• Audio: gestito direttamente dalla CPU, a 6 canali ciascuno dei quali disponeva di una frequenza di 3.58Mhz PCM ed era dotato di un proprio DAC e due dispositivi di attenuazione del volume
• Supporto: la Hu-Card, una sorta di media card di dimensioni simili alle carte di credito, con una capacità massima di 20 Mbit: con il relativo add-on vi era la possibilità di utilizzare anche i CD-ROM
La CPU non rappresentava una grande rivoluzione anzi proveniva dalla generazione precedente, il comparto grafico invece, con il doppio processore dedicato, era il vero motivo del boost prestazionale ottenuto rispetto al FamiCom (o NES) e diede un assaggio di quel che poi furono gli anni dominati dallo scontro Sega VS Nintendo.
La dicitura Turbografx-16 ed il comprendere questa console nella quarta era è dovuto proprio all’utilizzo dei due chip a 16 per la sezione video.
In poco tempo NEC si guadagnò la fiducia degli acquirenti piazzando diversi milioni di console a scapito proprio del concorrente Nintendo.
Inoltre, un anno dopo, venne reso disponibile il PCE CD-ROM che rendeva possibile l’utilizzo anche dei compact disc, sia audio (e la colonna sonora è un aspetto molto importante nel packaging dei videogiochi per i giapponesi) sia ovviamente giochi, con un avveniristico uso per i tempi del Full Motion Video.
Nel 1989 seguì quindi la decisione da parte di NEC di sbarcare sul mercato americano.
Sega, che aveva lanciato nel 1988 il proprio nuovo cavallo di battaglia, seguì anch’essa la rotta aperta dal NES qualche anno prima.
A questo punto, si rompe qualcosa nell’idillio PC Engine.
La sua vera forza piattaforma, al di là degli evidenti miglioramenti apportati nella grafica rispetto alle generazioni precedenti, era stata il parco giochi di ottimo livello sia per gli shoot’em up sia per il genere J-RPG, totem imprescindibili nella softeca di ogni giocatore giapponese.
I ritardi nella conversione e la mancanza di supporto da parte delle third-party giocarono quindi un ruolo importante nello scarso appeal sul pubblico americano.
Va per altro ricordato che la responsabilità non fu solo della cattiva gestione dei canali distributivi e della campagna di marketing (ricordate il caso Dreamcast?) ma anche degli ostacoli creati da Nintendo.
Molte software house come la Konami per esempio aveva stipulato dei contratti in esclusiva, con la grande N che ovviamente osteggiò il più possibile, anche oltre i limiti della legalità, lo sviluppo di titoli per il rivale PC Engine.
L’uscita di altri prodotti come lo Shuttle ed il CoreGrafx I e II provocò una frammentazione del mercato deleteria per quel senso di appartenenza e certezza che occorre creare nel consumatore.
NEC provò un’operazione di sintesi con l’uscita del modello Turbo Duo (il quale univa in un’unica macchina il comparto CD con quello HuCard) ma il prezzo piuttosto elevato negli States (circa 400$) e la competizione con il Sega Mega CD, uscito in contemporanea, ne ostacolarono la diffusione.
In Europa invece il fenomeno fu ristretto al solo import parallelo.
Nonostante il fallimento oltreoceano, in Giappone il supporto e lo sviluppo di titoli durarono fino al 1999, risultando uno dei cicli di vita più lungi che si ricordi per le console. Vennero così soddisfatti gli esigenti appassionati di sparatutto: titoli come Gate of Thunder, R-Type, Sapphire, sono da considerare vere e proprie pietre miliari del genere.
Dieci milioni di unità vendute di cui un quarto negli Stati Uniti ed il resto nel Sol Levante per una console, forse poco compresa, meno conosciuta di quanto meriterebbe ma che, nel bene e nel male, ha segnato una tappa importante nella storia dei videogiochi.