A poco più di dieci giorni dall’annuncio di iPad – mentre ancora infuriano le polemiche di chi lo vorrebbe simile al tablet che ha già fallito sul mercato qualche anno fa – importanti ripercussioni sul mercato editoriale online dimostrano meglio di qualunque altra spiegazione, l’estraneità del dispositivo ai modelli d’uso cui di recente lo si è spesso assimilato.
La centralità della funzione e-book reader in iPad è fin da principio fuori discussione: come dichiarato dallo stesso Jobs, il tablet di Apple nasce con l’intenzione di andare oltre il Kindle, sacrificando la leggibilità dello schermo e-ink a favore di una polivalenza d’uso che quella stessa tecnologia avrebbe reso impraticabile.
L’orientamento verticale del logo sul lato posteriore è il più chiaro indice di questa vocazione, una vocazione che elegge Kindle e non i vari altri tablet/slate/mid in circolazione, a primo rivale di iPad.
Prima di discutere le conseguenze pratiche di iPad e dare uno sguardo alle questioni più recenti, tratteggiamo a grandi linee la configurazione del mercato editoriale elettronico pre-iPad.
Amazon è presente sul mercato USA con Kindle dal 2007, dal 2009 sui mercati internazionali. Benché non esistano dati ufficiali di Amazon, tantomeno splittati per aree geografiche, il numero complessivo di unità presenti sul mercato è stimato in circa 3 milioni.
Pur offrendo l’accesso a numerosi siti che raccolgono e-book liberi da copyright, Kindle è integrato verticalmente con una sezione specializzata dello store di Amazon, il che ha permesso ad Amazon di estendere gli accordi in essere con i principali editori USA, alla vendita di e-book.
L’integrazione store-dispositivo, assieme all’attuale primato di Kindle nel mercato dei reader, ha consentito ad Amazon di trattare con gli editori partendo da una posizione di forza, e di ottenere l’imposizione di un prezzo “flat” di $ 9,99 per tutti gli e-book (anche i best seller venduti su carta ad oltre $ 20) che di certo ha incentivato le vendite di Kindle.
L’approccio di integrazione fra store e dispositivo è stato replicato anche da Barnes & Noble: il secondo operatore americano nel settore della vendita online di libri ha infatti da poco lanciato il suo Nook.
Dal canto loro, alcuni gruppi editoriali hanno avviato progetti per la realizzazione di dispositivi e-book reader legati al loro marchio: è di dicembre la notizia secondo cui quattro colossi come Time, News Corp., Conde Nast ed Hearst sarebbero in procinto di legare i loro contenuti in forma elettronica ad un dispositivo brandizzato.
In una situazione che definire fluida è dir poco, emergono alcune considerazioni da tenere ben presenti:
- nella migrazione ai formati digitali, gli editori hanno bene a mente gli errori commessi dalle major discografiche: in un momento di totale fluidità del mercato, hanno abbastanza alternative da non voler accettare alcuna imposizione da parte di Amazon sui prezzi;
- la leadership di Amazon+Kindle insiste in un mercato ancora immaturo;
- i numeri di Kindle rispetto al potenziale del nascente mercato e-book, sono troppo esigui per farne uno standard de facto;
- il modello di business di Amazon, che prevede un’integrazione verticale fra store ed e-book reader, non è l’unico possibile: gli editori potrebbero decidere di fare tutto in casa.
Con iPad Apple avrebbe potuto seguire il modello iPhone: integrare store come Amazon e B&N (senza dimenticare Google Editions) sotto forma di app, per unire tutti i protagonisti della distribuzione in un solo contenitore. Proporre quindi all’utenza alcune feature aggiuntive a compensazione dell’assenza della tecnologia e-ink, ricavare i propri margini dall’hardware e magari lasciarsi una strada aperta per accordi con i giganti del mondo news.
Questa strada – che poi è quella che i produttori di tablet Windows o Android si apprestano a percorrere – avrebbe lasciato sostanzialmente immutato lo status quo editoriale nel breve termine, ivi compreso il ruolo dominante di Amazon nell’intermediazione, ivi compresa la volontà degli editori di affrancarsi dalle condizioni di Amazon creando dispositivi brandizzati.
Per trarre il massimo vantaggio da questa configurazione del mercato, Apple ha preferito integrare uno store nel dispositivo, attaccando la relazione Amazon-editori sul punto debole: flessibilità sulle soglie di prezzo e un margine del 70% sui ricavi da vendita (cd. agency model).
Queste condizioni, assieme alla reputazione di Apple, hanno di colpo invertito i rapporti di forza fra e-tailer ed editori, costringendo Amazon ad ampie concessioni (MacMillian, Harper Collins, Hachette sono i primi “ribelli” ad aver ottenuto revisioni degli accordi) e, probabilmente, a una radicale revisione dei suoi accordi-tipo.
Il primo frutto dell’ingresso di Apple nel mercato degli e-book reader è dunque l’imposizione, da parte degli editori, del citato agency model agli e-tailer: una mossa che prevedibilmente comporterà un allineamento dei prezzi degli e-book e, soprattutto, sposterà la partita in un campo presso il quale Apple gioca da padrona: quello dei dispositivi.
Malgrado una strategia che per ora sembra funzionare, quella di Apple è una sfida estremamente ambiziosa, su cui dovrà mettersi in gioco completamente, a costo di limare all’osso i margini pur di riempire il mondo di iPad.
Le conseguenze delle sue mosse potrebbero interessare tutti gli protagonisti dei contenuti digitali, Amazon per prima, ma anche una certa Google, altro colosso nello scenario dell’intermediazione di contenuti.
Quello che si preannuncia è dunque un vero e proprio scontro fra titani, che durerà anni e lascerà sul campo pochissimi vincitori e molti sconfitti: al pubblico non si può chiedere di acquistare dieci lettori e-book per accedere a dieci diversi bouquet di contenuti.
Come andrà a finire è impossibile prevederlo: nella prossima puntata cercheremo di esplorare le strategie in campo e prevedere le prossime mosse dei contendenti.