Approfitto dell’uscita di un libro molto interessante, per scrivere un post su un argomento che mi affascina moltissimo e, allo stesso tempo, mette finalmente un po’ di luce sul titolo della mia rubrica.
Per cominciare vorrei presentarvi una persona: Ettore Majorana. Majorana è un personaggio che racchiude in sé il fascino del mistero giallo, della filosofia , della scienza ai più alti livelli e, soprattutto, l’angoscia dell’uomo che non capisce il senso della sua vita.
È importante che quest’angoscia venga da lui, da una persona che è abituata a capire tutto e che si rende perfettamente conto della propria posizione avvantaggiata rispetto agli altri esseri umani.
Ettore Majorana è nato nel 1906 da una famiglia benestante catanese, con alle spalle una tradizione di scienziati e intellettuali. Dopo il diploma decise di seguire le tracce familiari, iscrivendosi a ingegneria.
Con la complicità del compagno di corso Emilio Segré e anche grazie all’incontro con Enrico Fermi, neo professore alla facoltà di Fisica a Roma, decise di cambiare campo di studi, e raggiunse Fermi all’Istituto di via Panisperna. Da subito dimostra come le sue capacità e le sue intuzioni in campo della fisica e della matematica siano grandemente superiori alla media. Lo stesso Fermi, in seguito, lo paragonerà a Galileo e Newton e lo riconoscerà come la mente più brillante che abbia mai avuto modo di incontrare.
Perché allora il nome di Ettore Majorana non è altrettanto noto come quello di Enrico Fermi? La principale ragione è che Majorana non ha mai dimostrato interesse nel promulgare le sue idee, anzi. La carriera ufficiale di Majorana va dal 1928, anno in cui passò da ingegneria a fisica, fino al 1933.
Dopodiché seguì “liberamente” come disse lui, le attività scientifiche dell’Istituito di Fisica, dove liberamente vuol dire volontariamente, ovvero senza remunerazione. Delle sue ricerche scientifiche ci rimangono solo i nove articoli che pubblicò durante la sua carriera (raccolti dalla Società Italiana di Fisica).
Nove articoli sono un numero molto ridotto anche per quell’epoca, quando i fisici scrivevano solo se avevano veramente qualcosa da dire (l’approccio è molto cambiato oggi, quando si usano fiumi di parole per descrivere ogni piccolo fenomeno; non è necessariamente negativo, voglio solo sottolineare come anche la scienza sia soggetta alla sindrome della comunicazione che caratterizza la nostra generazione).
In ogni caso ciascuno dei nove articoli di Majorana è di un valore scientifico inestimabile e sfida ancora oggi i più grandi fisici teorici. Un piccolo esempio: osservando gli esperimenti di Irène Curie e Frédéric Joliot confidò a Fermi che la particella sconosciuta che essi osservavano doveva essere neutra e avere approssimativamente la stessa massa del protone: stava parlando del neutrone. Fermi gli suggerì di pubblicare quest’ipotesi, ma Majorana era dubbioso: riteneva sempre il suo lavoro estremamente banale e scontato. Chadwick non si fece tali scrupoli e vinse il premo Nobel per la scoperta del neutrone nel 1935.
Ciò che però è stato pubblicato lascia a bocca aperta anche il più grande scienziato. L’articolo “Teoria relativistica di particelle con momento intrinseco arbitrario” (Nuovo Cimento, vol. 9 (1932) pp. 335-344) spiega come descrivere con un approccio quantistico il comportamento relativistico delle particelle elementari.
La cosa straordinaria è che Majorana ha reso generali le sue equazioni, rendendole valide per particelle di qualsiasi spin (il momento angolare intinseco della particella). La cosa è sorprendente per due ragioni: una che il numero di particelle note in quell’epoca e la loro classificazione era estremamente rudimentale confronto alle nostre conoscenze attuali; due, che per fare questa descrizione Majorana ha utilizzato una sua interpretazione del concetto di gruppo, che fu definito ufficialmente solo diversi anni dopo dal matematico Eugene Wigner (Nobel nel 1963).
Pur non avendo pubblicato la sua scoperta del neutrone, Majorana si è lasciato convincere dal fisico tedesco Heisenberg a pubblicare la teoria sulle interazioni tra protone e neutrone, ovvero il primo indizio della forza che tiene in equilibrio il nucleo atomico, la forza forte (“Uber die Kerntheorie”, lavoro apparso il 3 marzo 1933 su Zeitschrift für Physik, vol. 82 (1933) pp.137-145). In una lettera al padre Majorana si dice sorpreso che Heiseberg sia così soddisfatto del suo lavoro, che pure corregge le teorie dello stesso Heisenberg.
Ma c’è un suo lavoro che in particolare è di grandissima attualità al giorno d’oggi, quasi un secolo dopo la sua formulazione (che in fisica equivale ad un’era). Majorana lasciò alcuni manoscritti mai pubblicati, ma da alcuni di essi si capisce che negli anni 1932-33 egli stesse lavorando ad una teoria che potesse in qualche modo collegare l’elettrone (una delle poche particelle note allora) con il neo-scoperto positrone (Anderson, 1932).
Per elaborare questa teoria Majorana fa uso delle matrici di Dirac . Queste matrici sono una rappresentazione matematica dello spazio (3,1) ovvero 3 dimensioni spaziali e una dimensione temporale. Majorana le “reinventa” introducendo una sua rappresentazione, che in termini matematici vuol dire che ha cambiato la “base” della matrice.
In pratica le ha riscritte in base immaginaria. I numeri immaginari sono numeri il cui quadrato è un numero negativo. Majorana ha utilizzato questo concetto per ottenere particelle a massa negativa (un primo tentativo di rappresentazione delle antiparticelle). Uno dei risultati più intriganti di questo studio è che i suoi calcoli prevedevano una particella che coincidesse con la propria antiparticella.
Secondo lui, quindi, doveva esserci un particella esattamente identica alla sua antiparticella. Majorana suppose che questa particella potesse essere il neutrino. Ebbene, vi sono ancora oggi esperimenti (come NEMO-3 e il futuro SuperNemo) che tentano di misurare il doppio decadimento beta senza neutrini, che implicherebbe la natura di Majorana del neutrino. Sembra infatti, che sebbene neutrino ed antineutrino siano particelle distinte, possano presentarsi in natura anche in uno stato diverso, ovvero come particelle di Majorana.
Ma Majorana non è famoso solo per le sue idee incredibilmente innovative in fisica. La cosa che lo ha reso maggiormente celebre è la sua scomparsa. Nel 1938, pochi mesi dopo aver guadagnato la cattedra all’Istituto di Fisica di Napoli, Majorana si recò a Palermo per qualche giorno di vacanza. Da lì scrisse una lettera al suo amico e collega Carrelli, che sembrava proprio una lettera di addio:
Caro Carrelli, Ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi, ma soprattutto per aver deluso tutta la fiducia, la sincera amicizia e la simpatia che mi hai dimostrato in questi mesi… Ti prego anche di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto…; dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo.
Poco dopo, però, inviò un telegramma di smentita:
Caro Carrelli,
Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.
Da quel momento, però, nessuno ebbe più notizie di lui. Le ipotesi, ovviamente, sono le più disparate, ma la realtà è che nessuno sa che cosa sia successo. C’è chi suppone che si sia suicidato, anche se non fu mai ritrovato il corpo, che chi lo immagina ritirato in un convento, chi lo ha visto a Buenos Aires, in Argentina, o addirittura chi lo identifica con il barbone/matematico Tommaso Lipari.
Nessuna di queste ipotesi ha trovato risontro nella realtà, e l’unica cosa che sappiamo per certo è che Majorana, prima di scomparire, ha ritirato un’ingente somma di denaro. Questo fatto suggeisce di scartare l’ipotesi di suicidio, anche considerando che nelle sue note, Majorana non ha mai parlato di suicidio, ma sempre di scomparsa, e lui pesava molto la scelta delle parole.
Fisici, scrittori, pensatori e storici si sono dilungati molto nella loro interpretazione della vita di Majorana. Un libro appena pubblicato e molto accorato è “A Brilliant Darkness“, ma è storico il romanzo “La scomparsa di Majorana”di Leonardo Sciascia. Un articolo che ha suscitato il mio interesse e che uso per ricollegarmi alla promessa iniziale di spiegare il titolo della mia rubrica è reperibile on line qui ed è scritto dal fisico teorico Zaslavskii.
Essendo scritto da un fisico, questo articolo fa un’analisi logica dei fatti avvenuti e cerca di interpretare il messaggio che Majorana ha voluto lasciare. Secondo questo articolo la scomparsa di Majorana è una sorta di prova, una spiegazione che ci è stata lasciata per capire la vera natura della meccanica quantistica.
Innanzi tutto Zalsavskii nota che le indagini hanno suggerito che Majorana sia salpato da Palermo per fare ritorno a Napoli, come si può appurare dal biglietto del viaggio e dalla testimonianza di un compagno viaggiatore, il professor Strazzeri dell’Università di Palermo. Strazzeri condivideva la cabina con due altri viaggiatori, Majorana e l’inglese Price. Strazzeri ricorda di non aver parlato con Majorana, ma solo con Price.
Si stupisce però che Price fosse inglese, poiché parlava benissimo in Italiano, e con un marcato accento meridionale. Questo fatto ha portato lo scrittore Sciascia a immaginare che il vero Majorana non sia mai partito, ma abbia ceduto il proprio biglietto a un popolano, che si è poi spacciato per Price con Strazzeri.
Questa teoria presenta alcune lacune (perché dovrebbe essersi presentato come Price? E perché il vero Price non ha detto niente?) ma fa capire che questo viaggio si presa a varie interpretazioni. Vi sono tutta una sera di posibilità, in cui Majorana sia presente in cabina, o assente, o presente sotto mentite spoglie. I dati che abbiamo non permettono di scartarne nessuna e, in pratica, la realtà è una sovrapposizione di tutte queste verità.
Il secondo indizio sono le lettere. Come accennato prima, Majorana ha spedito una lettera a Carrelli preannunciando la propria sparizione e, anzi, suggerendo l’ipotesi di suicidio. Poco dopo però manda un telegramma, smentendo la lettera, e nel quale si augura che le due missive arrivino a destinazione contemporaneamente.
Analogamente, si nota come abbia ritirato un’ingente somma di denaro dalla banca, proprio alla vigilia del suo presunto suicidio, quasi a riprova del fatto che non volesse affatto morire. Allo stesso tempo, però, spedisce una lettera alla famiglia in cui si scusa di dover scomparire, ma prega di non vestire di nero e di utilizzare un segno di lutto per non più di tre giorni.
Perché questo comportamento contraddittorio? L’articolo ipotizza che Majorana volesse dare l’impressione di essere sia vivo che morto nello stesso momento, proprio come il Gatto di Shroedinger.
Ecco quindi la spiegazione di che cosa sia il Gatto di Shroedinger. Questa metafora viene utilizzata per spiegare il fenomeno di indeterminazione della meccanica quantistica. Si ha un gatto, dentro una scatola, assieme a una razione di veleno che viene liberata solo quando un nucleo radioattivo raggiunge uno stato eccitato.
Ad ogni istante si ha una certa probabilità che il nucleo si ecciti, ma finché la scatola resta chiusa, non si sa se il veleno si è liberato o meno. Quindi il gatto è in una sovrapposizione di stati, essendo sia vivo che morto allo stesso tempo. La metafora di Majorana è ancora più chiara. Majorana si è suicidato, come dimostrano le sue note alla famiglia e a Carrelli, ma non si è suicidato, come domostra il telegramma e l’aver ritirato il denaro.
Ovviamente questa spiegazione è una teoria, un’idea secondo me molto affascinante ma senza riscontro pratico. Resta il fatto che Majorana soffriva molto il suo essere terreno, l’ineguatezza della vita nel tempo, la vita di chi osserva il mondo dall’esterno, lo capisce, ma non può evitare di farne parte. Da una lettera di Majorana:
«Devi sapere che mi sono dato al più scientifico dei passatempi: non faccio niente e il tempo passa lo stesso. Veramente mi sto occupando di una quantità incredibile di cose, ma, trattandosi di vili fatti del pensiero,e non di fatti empirici, bisogna farci la tara […]. Io sono stato fin dalla nascita un genio ostinatamente immaturo; il tempo e la paglia non sono serviti a nulla e non serviranno mai, e la natura non vorrà essere così maligna da farmi morire immaturamente d’arteriosclerosi».
La sua predilezione per gli scritti di Pirandello e Shakespeare fa capire come il suo spirito fosse più grande del suo corpo. Mi piace pensare, quindi, che l’ipotesi di Zalsavskii sia corretta, e Majorana abbia trovato un modo per vivere e morire fuori dal tempo, fuori dal mondo.