Non capita tutti i giorni di trovare un sostenitore di Linux che utilizza Ubuntu, ma che è fermamente legato alla versione precedente 9.04 e sconsigli assolutamente l’ultima, fiammante, 9.10 che tante cose nuove comunque porta con sé.
Per chi ama tenere aggiornato il proprio computer (e gli smanettoni generalmente appartengono a questa categoria) tutto ciò suona molto strano, ma situazioni del genere non sono più rare e da un bel po’ si assiste a retromarce inaspettate o, peggio ancora, indesiderate.
C’è un malessere, un malcontento che serpeggia, non più celato, nei confronti della distribuzione Linux realizzata dalla Canonical dell’ex astronauta Mark Shuttleworth e che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto portare questo s.o. “gratuito” alle masse, liberando la gente dal giogo del colosso di Redmond.
Alla base, inutile girarci attorno, sono i numerosi problemi che puntualmente saltano fuori a causa di scelte poco felici, ingenue, o addirittura scellerate che contraddistinguono ormai questa ben nota distro. Davvero troppi, troppi, troppi errori i cui effetti si ripercuotono inevitabilmente sull’utenza.
Di seguito un parziale (e necessariamente ridotto, ma significativo) elenco:
- installazione di FireFox 3.0 beta (con tutti i problemi che si portava dietro a causa di bug con SQLite, di cui fa uso) e utilizzo come browser di default
- installazione di nuovi driver video che ignorano la configurazione attuale del sistema, alterandola, creando problemi al boot e costringendo a rimettere mano ai file di configurazione pur di far funzionare nuovamente tutto
- utilizzo di header della precedente versione di Python (linguaggio molto utilizzato ormai su Linux, e Ubuntu in particolare, per la gestione del sistema) per compilare quella più recente e inevitabile instabilità e/o problemi quando si utilizzano altre applicazioni
- utilizzo dell’ultima versione ancora in sviluppo di GRUB semplicemente perché è “stable enough” (sic!), ma che può creare problemi al boot
- utilizzo di ext4 come filesystem (di questo ne abbiamo già parlato in un apposito articolo, in cui si evidenziavano problemi di perdita di dati)
- uso dell’immaturo e bacatissimo KDE 4 come desktop manager di default (in Kubuntu, la versione di Ubuntu che usa KDE e non Gnome come DM), preferendolo al più maturo e collaudato 3.5 (che nelle ultime versioni è stato pure rimosso, imponendo l’uso della 4.1+)
- driver di networking bacati, che portano a kernel panic (specialmente su una vasta gamma di comuni netbook)
Ora, immaginate un utente non smaliziato, a cui è rivolta questa distribuzione, che si trovi di fronte a uno di questi problemi. Che dovrebbe pensare? Ma, soprattutto, cosa dovrebbe fare?
Sia ben chiaro che non esiste il sistema operativo perfetto e che non ha nessun problema. Chi più, chi meno, deve necessariamente scontrarsi con la notevole varietà di hardware e software, e la cui “convivenza” può portare a conflitti che a volte si verificano in condizioni anche molto particolari e rare.
Ma non è di questo che voglio parlare, perché i bug sono una componente intrinseca del software e non v’è nessuna certezza che in un sistema complesso non ve ne siano, o che non ci siano falle di sicurezza magari sfruttabili da qualche malintenzionato. Nessuna. Se c’è qualcuno che sostiene il contrario è un venditore di fumo che non ha idea delle implicazioni teoriche e pratiche che ci sono nella scrittura del codice.
Il nocciolo della questione è che, nella corsa a raggiungere e/o superare l’acerrimo rivale Windows, Canonical sta commettendo degli errori che non si possono certo additare a “sbadataggine”, ma a scelte volute. Manca, in sostanza, la buona fede, che dovrebbe essere alla base di ogni scelta.
Scegliere di installare un software beta ci può anche stare (fermo restando che dovrebbe essere scritto a caratteri cubitali che non è un software “finalizzato”), perché si può dare la possibilità all’utente di sperimentare con un prodotto nuovo. Ma metterlo come default al posto di uno “collaudato” no: non è accettabile. A maggior ragione se è afflitto da pesanti bug.
Come non trovo sia accettabile che un prodotto sia rilasciato alla scadenza prevista nonostante i numerosi, ben noti, nonché gravi problemi che lo attanagliano con le periferiche, e che ha portato numerosi utenti alla disperazione più cupa. Un bagno di sangue che si poteva sicuramente evitare.
In un s.o. orientato alla massa un ritardo ci può stare. Lo fanno anche big come Microsoft o Apple, che sono stati costretti più volte a posticipare la commercializzazione dei loro prodotti (sebbene perle come Millennium e Cheetah pesino sulle loro coscienze). Non è un crimine né un segno d’incapacità ma, al contrario, di maturità e di rispetto nei confronti dei propri utenti.
Utenti che, alla lunga, si sentono “traditi” da questa discutibilissima politica (tanto da indurli a scrivere lettere aperte all’azienda denunciando la situazione e chiedendo un ripensamento delle strategie), si disaffezionano al prodotto, e che potrebbero decidere di abbandonare Linux e tornare a Windows (perché “comunque funziona”) ottenendo quindi l’effetto diametralmente opposto a quello desiderato.
Non è certo un 9.11, o un 10.1 rispetto al 9.10 a fare la differenza per un utente che chiede in primis un sistema stabile e senza problemi. Ciò vale tanto per un utente smaliziato quanto per uno “alle prime armi”.
Ed è bene che alla Canonical se ne facciano una ragione e adottino un ciclo di rilasci più lungo (e che stressa anche meno), ma che riduca al minimo queste aberrazioni…