Qualche settimana fa Stefano Quintarelli si chiedeva se, in futuro, ci sarà vita al di fuori di Android, paragonando sostanzialmente l’ascesa dell’OS mobile di Google a quella di Windows sulla piattaforma “aperta” IBM compatibile.
Ha argomentato ricordando che Apple è stata la prima a introdurre la GUI ma ha presto ceduto all’avanzata dell’OS grafico di Redmond, “agganciato” all’hardware di numerosi produttori.
iPhone fungerebbe dunque da testa di ponte per delle innovazioni il cui frutto finirà solo in parte nelle tasche di Apple; un po’ come successo nel mondo PC durante il ventennio successivo al lancio del Mac.
Molti produttori, come ricorda Stefano, hanno effettivamente abbracciato la piattaforma software di Google, il che porta a una già significativa – ma destinata a crescere – presenza di terminali Android sugli scaffali.
Pur ritenendo alcuni terminali Android dei serissimi rivali di iPhone, non sono affatto convinto che si replicherà la storia di Windows in ambito mobile. Il che non significa che iPhone sarà il trionfatore assoluto: vuol dire semplicemente che, per battere l’iPhone bisognerà giocare al suo stesso gioco, ossia l’integrazione verticale HW/SW (OS+Apps), la creazione di una piattaforma che va dall’hardware alle applicazioni.
Per argomentare la mia tesi non mi soffermerò sui temi del marketing, affrontati in questo interessante articolo di Mike Elgan linkato nei commenti alla fonte. La mia riflessione matura su basi prettamente tecnologiche.
Android arriva 6 anni dopo Windows Mobile e a una quindicina d’anni dai primi vagiti di EPOC, poi divenuto Symbian, dunque non è il primo esperimento di OS “aperto”, destinato ad un’ampia base di terminali.
Quel che è più importante, iPhone, portabandiera dell’integrazione verticale, guadagna fin dal suo debutto quote di mercato proprio ai danni dei terminali di fascia alta basati su Symbian e Windows Mobile, portando tutti i produttori a rifocalizzare i propri obiettivi sulla strada tracciata da Apple.
Se il trend è questo, per quale motivo Android dovrebbe ribaltare la situazione, segnando una rivincita dell’approccio aperto?
Quand’anche Android fosse – come probabilmente è – il più promettente fra gli OS mobile “aperti”, ci sono limiti nell’approccio stesso, che abbiamo già visto emergere con Symbian e Windows Mobile:
- sviluppare un’applicazione per una piattaforma SW aperta, significa affrontare diverse configurazioni HW (dimensione dello schermo, velocità e architettura della CPU, memoria, tipologia di interfaccia) e dotazioni di accessori (GPS, WiFi, accelerometro etc.); viceversa, in un ambiente chiuso, le differenze riguardano solo le release dell’hardware;
- di conseguenza un app store unificato, deve sviluppare numerosi distinguo, che restringono a un sottoinsieme dei terminali la compatibilità con ogni specifica applicazione; in ambito PC era ed è possibile ricorrere a degli upgrade hardware parziali per ottenere la compatibilità con una certa applicazione, in campo smartphone, no;
- per l’utente non smaliziato, le considerazioni precedenti comportano un livello di complessità – la verifica dei requisiti hardware – che l’integrazione verticale risolve a priori, introducendo potenziali incompatibilità solo al variare delle release hardware (caratterizzate da un ciclo di rinnovamento scandito dall’alto).
Dal momento che, per fare concorrenza a iPhone, bisogna offrire facilità d’uso e compatibilità col parco applicazioni, il successo di Android non può non essere legato al controllo che Google riuscirà a mantenere sull’hardware.
Da cui l’impegno sul fronte hardware intrapreso da Google: un importante segnale per Microsoft la quale, dopo l’acquisizione di Symbian da parte di Nokia, potrebbe presto ritrovarsi da sola a presidiare un modello tecnologico obsoleto.