Apprendo da LSDI che Time inc., Condé Nast e Hearst Corporation, tre colossi del mondo mediatico statunitense ed internazionale, si sono consorziati in un marketplace virtuale, una sorta di edicola su Internet, in cui i contenuti vengono erogati alla stregua della musica. La fruibilità è ovviamente ottimizzata per smartphone ed e-reader.
Vi rimando alla fonte originale per approfondimenti. M’interessa però lanciare qualche riflessione sull’iniziativa. Da un lato mi viene da pensare che questo sia uno dei modelli ineludibili per l’industria mediatica, a cui avrebbero forse dovuto pensare già prima di arrivare in massa sull’orlo del baratro. D’altronde i precedenti in questo settore, relativi al mondo e-book, sono in giro da un paio d’anni e si preparano a prendere piede, su tipologie di conenuti diversi dalle news.
Il che mi porta al punto successivo, per me cruciale: qual è la vita media di un contenuto? Quanto è lunga la curva dell’interesse per tipologia? Per quanto tempo, in altri termini, si può supporre di monetizzare uno specifico contenuto?
Se parliamo di Dracula di Bram Stoker, possiamo azzardare ordini di grandezza di secoli. Se parliamo di un album di Ray Charles, possiamo probabilmente misurare la curva in decenni. Se parliamo però di una notizia, l’unità di misura passa alle settimane se non ai giorni o alle ore.
Il che evidenzia la debolezza di questo approccio, fondamentalmente – a quel che si sa – basato su un modello “pull”, a cui però manca proprio il fattore “impellenza”, indispensabile per compensare la vita breve delle notizie. Un fattore in assenza del quale, la notizia diventa sostituibile con le decine di alternative gratuite disponibili, anche su piattaforme mobile.
Certo, c’è una prospettiva di fidelizzazione, che in tempi di guerra degli editori contro Google, potrebbe rappresentare già da sola un valore addizionale. Basterà?