Bei tempi gli anni ’80-’90, quando i platform di buona/ottima fattura uscivano a fiotti, soddisfando i possessori di qualsiasi piattaforma.
Nelle scorse settimane abbiamo avuto la possibilità di rivivere i fasti di alcuni di questi ottimi titoli: a cominciare da Super Mario, passando per le colorate le avventure dei personaggi Disney come Aladdin, Topolino, con Magical Quest, o i Duck Tales apparsi per la prima volta su NES.
Sega d’altra parte ha sempre fornito un altrettanto valido contributo alla causa di noi smanettoni.
Ovviamente non si può non cominciare dalla mascotte simbolo della casa nipponica, ovverosia Sonic, ma senza dimenticare titoli di spessore ed innovativi soprattutto per quanto riguarda l’interazione del giocatore con il personaggio e le animazioni di quest’ultimo.
Penso a Cool Spot, Earthworm Jim, Ristar, Flashback tanto per citare qualche nome, perché volendo essere esaustivi il rischio sarebbe quello della classica “lista della spesa”.
Tra i comuni e simpatici animaletti eletti “salvatori del mondo”, non solo i porcospini o i vermi sono riusciti a conquistarsi un posto nell’eden video ludico, ma anche, ebbene sì, gli opossum.
Come? Con Rocket Knight Adventures.
All’inizio degli anni ’90 Konami, nel pieno della sua “golden age”, incaricò un giovane ma già rispettato designer di confezionare un prodotto che potesse fare da contraltare all’osannato Sonic.
Il suo nome era Nobuya Nakazato.
Probabilmente non vi suonerà così familiare, di sicuro non quanto può esserlo Kojima, ma è stato l’artefice e successivamente art director dei successi di due saghe ormai ventennali, le quali hanno dato lustro a Konami stessa: Castlevania e Contra.
Nakazato non fu però l’unico grosso calibro “scomodato” per l’occasione. Tra i vari compositori scelti nell’ideazione delle colonne sonore, Michiru Yamane rappresentava senz’altro il pezzo da 90.
Castlevania: Symphony of The Night (o ribattezzato SoTN dagli appassionati), Suikoden, Winning Eleven, TMNT, Snatcher sono solo alcuni dei capolavori resi celebri anche dal suo lavoro.
Il team lavorò incessantemente per un paio d’anni e finalmente, nel 1993, il pubblico potè apprezzare l’opera portata a compimento.
L’eroe di turno era Sparkster, un opossum coperto quasi completamente coperto da una pesante armatura e dotato di spadone per ogni (brutta) evenienza.
Discendente di un importante casato, era il migliore tra tutti i “Rocket Knights” e per questo fu scelto nel difficile compito di salvare il mondo e recuperare la principessa rapita dall’Imperatore Devoitnidos, il quale, nel frattempo, si era già alleato con uno suo pari, traditore, chiamato Axel Gear.
Non bastava l’Evil Emperor ed il suo curioso esercito di maiali inferociti ma ci voleva anche il voltagabbana di turno. La sfiga, non solo nei videogiochi, non conosce davvero fine.
Re malvagio, bella da salvare…suona oltretutto piuttosto familiare.
Il porcospino blu agli occhi di tutti rappresentava un piccolo Everest da scalare per le software house che si cimentarono nel tentativo di scalzarlo dall’immaginario collettivo.
Ma Konami fece un lavoro senza dubbio egregio.
La grafica a distanza di anni rappresenta una delle punte di diamante mai espresse sul Mega Drive.
Non solo i colori sgargianti apprezzati soprattutto nei capolavori Disneyani come Castle of Illusion, ma dettagli e giochi di luce, soprattutto riflessione, quasi impensabili con la palette ed il numero di tonalità visualizzabili contemporaneamente per la piattaforma Sega.
La dimensione stessa dei boss di fine livello era ragguardevole per l’epoca, così come il numero di azioni possibili per il nostro opossum preferito.
Seppur lo sguardo fosse inevitabilmente rivolto a Sonic (provate a confrontare l’ending theme dei livelli e studiarne le similitudini), testimoniato dalla presenza dello spin attack, la varietà costituita dal raggio energetico sparato dalla spada e la possibilità di appendersi agli alberi a mo di scimmia e volare, rendevano l’arsenale dell’opossum da battaglia piuttosto variegato e divertente da utilizzare.
Proprio la capacità di volo tramite i razzi montati sull’armatura lasciano trasparire una delle chiare vocazioni Konami: lo shoot’em up.
In molti hanno rivisto, anche nella costruzione dei livelli e la scelta dei background, quel tocco stile Gradius da sparatutto a scrolling orizzontale, che tanto piacque alle nostre generazioni.
I 17 boss disseminati durante il gioco garantivano un gameplay ed una longevità più che soddisfacenti alla causa anche se, unica grossa pecca forse, probabilmente la difficoltà poteva essere calibrata meglio.
Se al livello più basso risultava davvero troppo facile districarsi tra i nemici proposti dal COM, al livello più difficile la missione non era suicida, era praticamente impossibile.
Nonostante gli ottimi rapporti con Nintendo, il porting verso SNES fu cancellato ed i possessori dell’altro fenomeno a 16 bit dovettero aspettare il 1994, con l’uscita del sequel per Mega Drive e relativo spin-off chiamato semplicemente Sparkster.
Seppur risultasse un prodotto anche superiore, per merito soprattutto del comparto grafico del Super Famicom, non riuscì così come il predecessore ad incidere nel mercato per quanto Konami aveva sperato.
Sparkster ha fatto la sua comparsa in altri titoli della medesima software house, ma poco più di un mese fa è arrivata la notizia che molti speravano di leggere: Rocket Knight racconterà le sue gesta anche sulle console di ultima generazione e sul personal computer.
Fintantoché Konami ed il team britannico Climax Group non finiranno il proprio lavoro (al quale sembra parteciperà ancora Nakazato), godetevi almeno l’originale perché ne vale davvero la pena.