All’indomani dell’annuncio (in una ricerca NPD) di un nuovo record per Apple – avrebbe catturato, malgrado la quota di mercato minoritaria, il 34% delle revenue complessive da vendita di laptop e il 48% nel segmento desktop, grazie a prezzi medi più che tripli di quelli dei sistemi Windows – voglio sottoporvi un’idea accennata nell’ultimo post della rubrica dedicata alla nostalgia informatica.
L’idea che sto per sottoporvi mi deriva in parte dalla storia di Microsoft, in parte dal parere espresso da uno degli storici commentatori della Silicon Valley, John C. Dvorak, vero decano dell’industria.
Il tema è: converrebbe a Microsoft creare proprie specifiche hardware chiuse, con i relativi benefici su prestazioni e affidabilità per i propri OS?
Sappiamo che il colosso di Redmond ha sempre giocato su più tavoli, spesso contrapposti. Mentre chiedeva alla Apple di John Sculley – quasi all’indomani dell’uscita di Jobs – di aprire le specifiche hardware del Mac, per farne lo standard di mercato (il successo di Windows era ancora molto distante), supportava alacremente il suo progetto MSX (1983), una piattaforma hardware chiusa a 8 bit pensata per dominare il mercato degli home computer.
Nel pieno della sua scalata trionfale verso il 90% degli OS installati su qualunque PC, lanciava un formato thin client con specifiche hardware chiuse, MSN Companion, sviluppato come terminale per la fruizione dei contenuti online MSN.
Oggi, mentre paga spot (I’m a PC) che promuovono computer prodotti da altri, e lancia degli store brandizzati in cui vende quegli stessi prodotti, non mi stupirei se avesse in mente un piano diametralmente opposto, capace di sconvolgere ancora una volta il mercato informatico.
Ma che senso avrebbe questa strategia, e a cosa porterebbe?
A proposito dei Microsoft Store, Dvorak nota giustamente che, mentre Apple lascia spazio al suo marchio e a pochi, selezionatissimi partner, Microsoft ripropone il modello già fallito dei megastore informatici generalisti, in cui per di più, software e hardware di terze parti occupano la maggior parte dello spazio.
Sul fronte tecnico, è utile ricordare che l’approccio al mercato alla base della fortuna di Microsoft – un solo OS per tutti i PC – è nato in un momento in cui le CPU disponibili si contavano sulle dita di una mano (facciamo due), e lo stesso valeva per schede madri, schede video ed altre periferiche.
Con la fortissima accelerazione degli anni ’90, il mercato hardware è divenuto molto più caotico: un trend che prosegue fino ai nostri giorni, con i titani del settore che offrono letture spesso diametralmente opposte sul futuro dello standard PC.
In questo quadro, Microsoft da una parte è costretta a un colossale lavoro di sviluppo, dall’altra sconta sulla sua reputazione, problemi di instabilità che non necessariamente dipendono dalla qualità del suo codice.
Mentre Microsoft difende il mondo PC con costose campagne pubblicitarie, Apple, pur usando hardware PC – un sottoinsieme chiuso dell’hardware PC, per l’esattezza – se la ride, e colleziona margini sconosciuti all’industria hardware. Il perno di questo successo risale al concetto di piattaforma chiusa, una scelta (si veda l’approfondimento sulla successione all’Apple II) sigillata nel 1984 col Mac, e ribadita da Jobs al suo rientro, nel 1997, dopo la breve parentesi dei cloni.
In che modo questa filosofia si pone alla base della presente fortuna di Apple? Quando uno sviluppatore SW ha pieno controllo sull’hardware, può garantire un grado di ottimizzazione che, su piattaforma aperta, richiederebbe la scrittura di cinquanta versioni di ogni singolo software.
Questo approccio garantisce stabilità, e consente di dirigere i propri sforzi verso l’ottimizzazione del software sulle risorse esistenti: una via alternativa a quella del continuo upgrade dell’hardware – peraltro impraticabile ai tempi del boom dei portatili.
Per avere prova del successo di questa “scuola di pensiero”, basta ricordare le straordinarie prestazioni dell’Amiga, ma anche la longevità degli ultimi G4, architettura coeva del Pentium 2, ma rimasta sul mercato fino al 2006 e ancora molto utilizzata con OS e applicazioni recenti.
Torniamo al dunque: Microsoft, l’azienda che storicamente incarna l’antitesi della piattaforma chiusa, potrebbe oggi giovarsi dalla creazione di una piattaforma certificata, di un reference design su cui condurre l’ottimizzazione dei suoi prodotti (e incassare royalty)? Da storico fan delle piattaforme chiuse, credo di sì, particolarmente in un momento in cui la mobilità domina il settore.
Rimarrebbero ovviamente delle questioni da risolvere: riuscirebbe il colosso di Redmond a contenere la rivolta degli OEM – ma del resto quale alternativa avrebbero? – offrendo a loro di sviluppare i prodotti finiti? Che mercato risulterebbe da un simile cambiamento?
Ma soprattutto: trovandosi al comando di una filiera che va dall’hardware al software, e ha come potenziale di crescita l’attuale quota di mercato di Windows e anche più, riuscirebbe Microsoft a sfuggire alle grinfie dell’antitrust?