Qualche tempo fa si è parlato di portabilità della mail – ovverosia la possibilità di trasferire il proprio alias e i propri dati personali presso altri fornitori, senza incorrere in perdite di dati – presso la Commissione Europea e la FCC americana. Non è un argomento a cui ho prestato molta attenzione, essendo un accolito della “religione” Gmail fin dal 2005.
Nella giornata di ieri, in seguito a un disservizio – sono stato disconnesso da IMAP per aver ecceduto un tetto di banda (!?) – ed essendo totalmente dipendente dalla mail nel lavoro, ho deciso di valutare gratuitamente un servizio a pagamento con garanzie formali di servizio e assistenza tecnica.
Attivato l’account, mi sono trovato davanti delle fiammanti nuove mailbox, pronte a contenere tonnellate di GB, ma ahimè prive di tutti quei preziosi dati che dal 2005 in poi affollano la casella attivata con uno dei primi inviti, presso i server di Google.
Oltre e più che dell’alias, il problema è infatti legato al trasferimento di una mole rilevante di dati, nel mio caso circa 27000 messaggi. Vi annuncio già da ora che alla fine ho dovuto desistere.
Come accennato, fruisco della mia mailbox non via web ma da client – tramite IMAP, affinché ci sia sempre totale coerenza fra i dati a cui accedo. L’integrazione del client con l’OS è infatti per me cruciale nella produttività quotidiana.
Dopo aver preso un po’ d’informazioni in rete ho concluso che il metodo migliore per trasferire l’enorme volume di mail, consistesse nel creare il nuovo account a fianco del vecchio, quindi procedere a spostare a mano i messaggi dalla casella “Entrata” e poi da quella “Inviata”.
Dal momento che anche la nuova mailbox è IMAP, comandare il trasferimento da una mailbox all’altra, significa effettivamente comandare la movimentazione di migliaia di file da pochi KB, per un totale esorbitante, fra due server, con il proprio client a fare da semaforo. Una situazione già dal punto di vista “estetico” orribile.
Contribuisce ad innalzare il livello di frustrazione, la ridicola banda in upload della mia ADSL da 8 mega, che conferisce all’operazione una velocità ancor più letargica.
Chiaramente le mail vanno copiate a piccoli blocchi per evitare che un errore possa costringere a ricominciare da capo (già, perché la copia non segue necessariamente un ordine cronologico).
Mi imbarco nell’operazione, perdo tre ore del mio tempo a fare verifiche incrociate fra webmail, casella IMAP di origine e di destinazione. Iniziano a saltar fuori le prime discrepanze, e con esse i timori di aver perso qualcosa. Mentre controllo affannosamente, arriva il colpo di grazia: errore del server, 82 messaggi (di 400) non copiati.
Morale della favola, resto con Gmail, sperando che il fantomatico tetto di banda non salti di nuovo fuori a farmi perdere mezza giornata di lavoro. Come ho personalmente verificato, si tratta peraltro di un problema comune anche agli utenti premium di Gmail.
Voglio precisare che ho valutato anche le varie opzioni di inoltro automatico da vecchia a nuova casella, di lettura automatica da nuova su vecchia via POP. Nessuna di queste opzioni mi garantisce dei tempi di reazione accettabili (al tempo di sincronizzazione IMAP, si aggiunge infatti un’altro tempo X di inoltro-scaricamento), e coerenza dei dati.
La soluzione più semplice e meno onerosa in termini di tempo, specie quando la posta elettronica è uno strumento di lavoro, mi pare quella di appoggiarsi a un solo provider. Peccato che l’assenza di strumenti tecnici funzionali e disposizioni legali che vincolino ciascun fornitore di servizi ad offrire pieno supporto alla portabilità, trasformi anche la banale necessità di una mailbox con tanto di storico, in un ennesimo lock-in.