Un mese fa abbiamo parlato dell’SG-1000, il prodotto che ha in qualche modo segnato l’ingresso di Sega nella nuova videogame industry che si stava delineando dopo il crash del 1983; un prodotto importante non solo perché il primo di una lunga serie a venire, ma anche perché chiara espressione dei cambiamenti avvenuti all’interno della dirigenza e dell’assetto societario della Sega.
Il Master System, dopo le prime due revision dell’SG-1000, si presenta come il terzo genito della famiglia, ma con caratteristiche hardware decisamente superiori, uno dei motivi per cui le vendite superarono e non di poco i numeri fatti registrare dai modelli precedenti.
Nonostante questo, l’obiettivo appareva difficile, quasi insormontabile: combattere ad armi pari con Nintendo.
La seconda e terza generazione sono probabilmente le più prolifiche ogni tempo se consideriamo il numero di console prodotte; ma mentre in quelle successive si può dire ci siano state grandi attese poi “disattese” (3DO, Amiga CD32, Saturn tanto per fare qualche nome), in questa decade abbondante di produzione, tutti possiamo dire aver posseduto una console che ci è entrata nel cuore.
Commodore 64, Atari 2600, Spectrum, Vectrex sono nomi che hanno fatto letteralmente la storia di questo settore e senza dubbio fanno tornare alla mente giorni spensierati.
Quella che però ha forse lasciato più il segno tra tutti questi mostri sacri è il NES.
Probabilmente è noioso sentirsi ripetere le stesse cose, ma gli 8 bit sono stati letteralmente dominati dal FamilyComputer.
62 milioni di console vendute (quinta di tutti i tempi), un ciclo di vita di 12 anni e decine e decine di capolavori conosciuti in tutto il mondo: Super Mario, Zelda, Contra, Gradius, Metal Gear, TMNT, Duck Tales, Castlevania solo per citarne alcuni.
Il successo e l’affezionamento da parte dell’utenza sono stati talmente elevati che la Nintendo of Japan ha smesso di riparare FamiCom solo due anni fa e nemmeno perché il dipartimento era diventato poco produttivo ma semplicemente per la sempre maggiore difficoltà a reperire pezzi di ricambio.
Di fronte a questi dati, seppur con un banale ragionamento ex post, risulta difficile immedesimarsi nella dirigenze dei competitor di allora e pensare di poter davvero battere Golia sul suo stesso campo.
Quel che è certo è che la Sega ce la mise davvero tutta, ottenendo risultati positivi soprattutto in Europa.
Nell’ottobre del 1985 iniziò la commercializzazione del Mark III, esteticamente basato sul design del SG-1000 II ma con caratteristiche hardware superiori, qui di seguito elencate:
- CPU: Zilog Z80A con clock a 3.54 Mhz per i modelli PAL/Secam e 3.57 Mhz per i modelli NTSC
- RAM: 8 KB espandbile per quella principale e 16 KB dedicati per la VRAM
- Video: processore dedicato e derivato dal Texas Instruments TMS9918 in grado di visualizzare fino a 32 colori contemporaneamente ed una risoluzione di 256*224 px per i modelli NTSC, 256*240 per i modelli PAL/Secam
- Audio: 2 processori dedicati; Texas Instruments SN76489 in grado di gestire fino a 4 canali mono e 3 generatori di tonalità e lo Yamaha YM2413 con il compito di effettuare la sintesi FM
- Supporto: cartuccia a 44 pin (per i modelli di regionalizzazione coreana e giapponese) e 50 pin per tutti gli altri, con una capienza fino ad un massimo di 256 KB e media card anch’essa utilizzata per il software, similarmente allo stile “combo” adottato anche con il PC Engine
Si può facilmente notare come l’HW fosse di assoluto rispetto e per svariati aspetti superiore alla controparte Nintendo: maggior quantitativo di RAM (sia della macchina sia per la sezione video), clock raddoppiato della CPU, ben due chip dedicati per il comparto audio.
Anche gli accessori, forza ed espressione della varietà ludica Nintendo, erano allo stesso modo presenti, a seconda dei vari bundle acquistabili, nel corredo Sega: la classica pistola chiamata “Light Phaser” per i giochi di punta&spara, i joypad multi tasto con le opzioni autofire, i joystick provenienti dalla tradizione dell’home computing, fino allo Sports Pad, una trackball ed un paio di occhiali “3D”, entrambi piuttosto avveniristici per i tempi che correvano.
Nel 1986 ecco comparire la versione americana, ridenominata più semplicemente come “Master System”, venduta al prezzo di 200$.
Complice il ritardo accumulato di un anno rispetto al competitor Nintendo e l’assenza di titoli di spessore rispetto alla controparte della grande N, la parabola fu da subito piuttosto in discesa, così come avvenne in Giappone dove solo due anni dopo, nel 1988, la Sega era già pronta a convolare a nozze verso la nuova generazione (quarta o a “16 bit”) per tentare di riconquistare il mercato e quindi molto prevedibilmente alzando al tempo stesso bandiera bianca sul progetto 8 bit.
Dove invece i risultati fatti registrarono furono positivi e forse anche al di là delle previsioni più rosee operate dagli analisti?
Nel vecchio continente. Talmente positivi da indurre Sega ad aprire una propria sede europea, chiamata con molta fantasia Sega of Europe.
Grazie ad una propria buona strategia di marketing combinata alle politiche di licensing Nintendo ritenute troppo ristrettive da alcune delle maggiori software house europee, il Master System ottenne indici di gradimento inaspettati, conquistando nuovi mercati che si stavano delineando l’America Latina (Brasile in particolare) e parte del Commonwealth.
Nel 1990 insieme all’arrivo nella zona PAL del Mega Drive, fa capolino anche il restyling del SMS, con l’aggiunta del semplice ma efficace appellativo “II”, ad indicare comunque la continuità con la prima versione, con un design decisamente meno spigoloso e forse più accattivante viste le tendenze del decennio appena cominciato.
Contemporaneamente, la Sega decise di affiancare anche una sorta di nuovo personaggio mascotte per contrastare lo strapotere di Super Mario, ovvero Alex Kidd.
La cessione del supporto a questa console verso la fine degli anni ’90, un buon traguardo se si considera l’uscità a metà eighties.
Forse ingiustamente, senz’altro oscurato dall’ingombrante presenza del NES, il Master System fu una signora macchina ed un signor progetto.
Populous, Rescue Mission, le innumerevoli conversioni da sala giochi (Golden Axe anybody?) propongono tutt’oggi una soft-teca di tutto rispetto.
Considerate le difficoltà e la struttura certo non imponente qual’era quella Nintendo, come dicono gli americani, “you gotta giv’em credit”, ovvero dare atto a Sega ed ai progettisti della console di avercela messa davvero tutta.
E siccome ormai siamo finiti sull’anglofonia, anche per questa settimana That’s All Folks!