Nei nostri appuntamenti settimanali ci siamo occupati anche di PC Engine, brand videoludico legato a NEC, purtroppo non sufficientemente conosciuto in Occidente.
Relegato quasi esclusivamente al solo mercato nipponico e mancando di forti distributori ufficiali al di fuori del Sol Levante, solo quei pochi che hanno potuto recarsi in Giappone o i cultori del “mercato parallelo” hanno potuto accaparrarsi questa straordinaria console ricca di altrettanto ben realizzati videogiochi.
I possessori e ancora oggi collezionisti del PCE sanno perfettamente che la sua vera vocazione è legata agli shoot’em up, genere assolutamente inflazionato ed in voga tra la fine degli anni ’80 e l’inizio ’90, basti pensare ai vari Thunder Force, Axelay e Raiden di cui abbiamo avuto modo di parlare nei mesi scorsi.
NEC uguale sparatutto dunque? Se si pensa a capolavori come Gate of Thunder, Ginga Fukei Densetsu Sapphire (o semplicemente “Sapphire”, attualmente uno dei giochi più costosi e ricercati della soft-teca Nec), Gradius, Cyber Core, l’immenso R-Type o il demenziale Twin Bee, una sorta di alter ego del già trattato Parodius la risposta sarebbe piuttosto spontanea e scontata.
Non bisogna però dimenticare il resto della flotta in particolare platform. Bomberman non ha bisogno di presentazioni ma è un altro gioco ad aver suscitato la mia curiosità dopo la soffiata di un caro amico anch’egli appassionato di retrogaming (grazie Ioz ;)).
Oggi parleremo di Bonk una serie di videogiochi con protagonista un piccolo e calvo cavernicolo ma dal grande avvenire.
Tutte le piattaforme hanno una sorta di mascotte che diventa il fulcro del marketing e merchandising e finisce per rappresentare, agli occhi del mercato, il buon lavoro svolto per quanto riguarda la parte software.
Super Mario per il NES, Sonic per il Mega Drive, Rayman per l’Amiga e…Bonk per il PC Engine.
Come spesso succede, il meglio capita quasi per caso.
Il lavoro di Miyamoto seppur su commissione era approdato “accidentalmente” sul baffuto idraulico e così per la dirigenza NEC quando si sono imbattuti nel non preventivato successo di questo personaggio.
Le sue prime apparizioni infatti risalgono alla pubblicazione di strisce fumettistiche in uno dei periodici dedicati proprio alla console nipponica. Il pubblico, soprattutto quello più giovane, composto da bambini ed adolescenti, dimostrò di gradire talmente tanto PC-Genjin (questo il suo nome originale) che NEC di concerto con Hudson Soft, compagnia first party e sviluppatrice di buona parte dei maggiori successi targati PCE, nel 1990 rilasciarono il primo videogioco di una lunga serie a venire.
La Hudson si occupò della veste di publisher in questo caso mentre lo sviluppo tecnico venne delegato ai team di Red Company e Atlus.
L’inizio fu di quelli col botto e l’accoglienza della critica, in particolare fuori dai confini nazionali, assolutamente positiva.
Gioco dell’anno per Turbografx-16 (la sfortunata console a 16 bit NEC) secondo Game Player’s Magazine e votato “Most Exciting New Theme” dal famoso Electronic Gaming Monthly sono solo alcuni dei premi ricevuti e che testimoniano la riuscita della trasformazione, mai così semplice, di un cartone animato in personaggio video ludico.
Purtroppo il triste destino e prematura dipartita della piattaforma PC Engine frenarono forse il successo di Bonk anche se lo sviluppo di altri capitoli legati al curioso character design proseguì in particolare sulle macchine Nintendo (NES e Game Boy e molti anni più tardi Game Cube) che dapprima ospitarono il porting del primo episodio, successivamente, con Super Bonk 1 e 2 per SuperFamicom videro il rilascio di prodotti sviluppati quasi esclusivamente ad hoc per la grande N.
C’è un dibattito su quale sia il capitolo più riuscito tra tutti e c’è chi sostiene, un po’ controcorrente, sia in realtà il terzo e non il pluripremiato capostipite della saga.
Quel che è certo è che tutti gli elementi che hanno contraddistinto questa serie sono sempre stati presenti: la capocciata (il cui onomatopeico “bonk” è il marchio di fabbrica del personaggio), il sistema di power up, le ambientazioni sgargianti e lussureggianti di un’epoca lontana milioni di anni e quel tratto ironico-demenziale ma dannatamente divertente proprio della cultura “cartoon esca” giapponese.
Cosa sarebbe successo se il piccolo cavernicolo fosse esploso sui ben più diffusi SNES o Mega Drive non è dato saperlo ma ora, se avrete occasione di rivedere Chuck Rock, vi tornerà in mente quest’altro cavernicolo, meno famoso della controparte Sega ma vero antesignano dei cavernicoli di successo sugli schermi dei salotti di tutto il mondo.