La giornata del 28 ottobre, come leggiamo su TechCrunch, per Garmin e TomTom, è stata forse la più nera. I leader di mercato nel segmento GPS, hanno infatti perso una quantità immane di danaro, con la sola Garmin che ha visto il suo market cap ridursi di 1,2 miliardi di dollari a causa di un drastico calo nel valore azionario.
Il motivo? Google, una delle aziende più ricche al mondo, finanziata principalmente dalle revenue provenienti da una posizione dominante sul mercato pubblicitario mondiale, ha recentemente lanciato un programma di navigazione gratuito per terminali telefonici.
Per le caratteristiche tecniche del prodotto e i giudizi vi rimando qui o ad una ricerca su Google. Pare si tratti di un software assolutamente innovativo, che spinge in avanti lo stato dell’arte, imponendo alla concorrenza una rincorsa insostenibile.
Tra l’altro, mette a frutto i numerosi investimenti fatti da Google negli ultimi anni sul fronte della navigazione e dei servizi di localizzazione. Investimenti finanziati con le revenue provenienti dall’unico canale che sostiene il business di Google, la pubblicità.
Non ho alcun dubbio sul fatto che, se Microsoft avesse compiuto una mossa del genere, non avrebbero tardato un minuto quei tanti fanboy di questa o quella piattaforma alternativa, per spiattellare la ahimè ricca casistica di comportamenti anticoncorrenziali tenuti dal colosso di Redmond, condita da quel tanto di fantasia che non guasta mai e il solito codazzo di teorie complottistiche da far impallidire David Icke.
Vedo più o meno gli stessi soggetti, esultare all’idea che Google possa presto illuminare la loro triste vita di difensori d’ufficio non retribuiti, con prodotti che gli facciano, almeno in auto, sperare che un mondo senza Microsoft sia possibile.
“Perché tanto livore” vi chiederete “per un operatore che non ti ha mai chiesto una lira?”. Non è livore ma polemica, spero costruttiva, poi il motivo c’è – non è una cattiva digestione – e se mi concedete altri 60 secondi di attenzione ve lo spiego.
Quando nel 1995 Microsoft lanciò Internet Explorer, non si trattò certo di un progetto strettamente commerciale, come invece lo era Netscape, che al tempo veniva distribuito a pagamento.
Il fine di IE era diverso, politico, legato al controllo dell’ecosistema Internet più che al dominio del mercato dei browser. Per questo motivo IE era gratuito. Lì dove Netscape vedeva un fine, Microsoft, con IE, aveva un mezzo. Da offrire gratuitamente, attingendo alle sue ricche casse, quando il rivale poteva sostenere i costi di sviluppo solo con i ricavi da vendite.
Il resto è storia recente (per approfondimenti sulle browser war vi rinvio a questo pezzo), ivi compreso il colpo dato da IE alla concorrenza nel mercato dei browser – che di lì in poi campa su economie esterne al prodotto.
Nello stesso identico modo, per Google il fine primario non è oggi quello di dominare il mercato dei navigatori, quanto quello di sfruttare la navigazione GPS come ulteriore spazio per la veicolazione di nuove forme di pubblicità, come incentivo per l’appeal di Android contro lo strapotere di iPhone.
Da cui la scelta di guadagnare in fretta quote di mercato, con la “scorciatoia” della distribuzione gratuita. Il che, beninteso, non è male in sé (come sostengo in un precedente pezzo): ma se questo, poniamo, comportasse in modo meccanico, la scomparsa di TomTom e Garmin, ivi compresi posti di lavoro e indotto?
Se, più precisamente, questa mossa costringesse i due attuali leader del mercato GPS, assieme al codazzo di follower che da soli danno lavoro a migliaia di altre persone, ad una sanguinosa inversione ad U sul modello di business?
Non tornerebbe qualcuno a domandarsi a cosa serve dopotutto l’antitrust, se non ad evitare che la crescita di un settore economico, corrisponda sempre più alla crescita di una sola azienda, la quale, mano a mano che cresce, divora o relega alla marginalità le altre, attingendo, per propellere i suoi investimenti, alle ricche casse che la posizione dominante in un mercato esterno le garantisce?
PS La mia posizione in materia di antitrust è molto semplice: non si può imputare “cattiveria” ad un’azienda che segue come unica religione quella del profitto, e le norme che regolamentano il mercato. È solo su queste ultime, in quanto unica tutela di un mercato sano e concorrenziale, che vorrei stimolare una riflessione. Non è a un’azienda che si può chiedere di andare contro il proprio interesse autolimitandosi.