Dal 2004 ad oggi, Google ha scansito circa 10 milioni di libri – sia in commercio che fuori stampa e di pubblico dominio, secondo le categorie del copyright USA – e li ha messi a disposizione gratuitamente attraverso il sito dedicato Google Book Search (già noto come progetto Google Print).
A cinque anni di distanza dal lancio dell’ambizioso progetto, siamo in questi giorni in attesa di un accordo fra Google e due soggetti giuridici – l’Association of American Publishers e l’Authors Guild of America – che hanno denunciato il gigante di Mountain View per l’infrazione delle norme sul copyright.
Aziende come Microsoft e Amazon, hanno preso parte contro Google, sostenendo che la mossa del motore di ricerca, quand’anche superi gli ostacoli legati al copyright, esclude di fatto dalla possibilità di una simile impresa, aziende concorrenti.
Come ricorda Sergey Brin in una sua lettera al NY Times, il progetto Google Books ha le sue origini in una visione al confine fra il rivoluzionario e l’utopico di Larry Page, risalente all’epoca in cui Google era ai suoi primi passi: “digitalizziamo tutti i libri della terra”, proclamava il co-fondatore di quello che sarebbe divenuto il più popolare motore di ricerca al mondo, forse a caccia di un modo per spendere il denaro che iniziava a fluire abbondante nelle casse della promettente startup.
In un precedente articolo riguardante Microsoft e il mercato degli antivirus gratuiti, ho utilizzato l’analogia di Godzilla, che quando si muove, anche se animato dalle migliori intenzioni, può provocare disastri.
Credo che per Google, altra azienda titanica, valga una considerazione analoga. Come nel caso Microsoft, Google offre un servizio – al quale hanno peraltro aderito spontaneamente molte università – che offrirà un beneficio alla collettività, abbassando le soglie di accesso a una grossa fetta di cultura.
Più di Microsoft però, Google ha fin da subito fatto valere la sua massa critica, davanti a un campo di applicazione che si sapeva in partenza essere irto di ostacoli legali. Come non Microsoft, Google ha in un certo senso messo i portatori di legittimo interesse rispetto alle opere digitalizzate, davanti al fatto compiuto, forte della valenza culturale dell’operazione condotta.
A distanza di 4 anni dalla causa, con il relativo accumularsi di spese legali, Google – che nel frattempo ha continuato il lavoro di scansione – propone un settlement agreement pari a $ 125.000.000 per l’intero volume di opere digitalizzate e la copertura dei costi processuali, su cui si deciderà nei prossimi giorni.
Un accordo, sottolinea Brin sulle pagine del NY Times, che aprirebbe la strada alla medesima pratica da parte di Microsoft, Amazon e chiunque altro abbia le risorse e la voglia di imbarcarsi in una simile impresa.
Non posso sindacare sulla somma, mi limito a una breve divisione: 125 mln/10 mln = $ 12,5 per libro (considerando pari a zero le spese processuali).
Personalmente da qualche anno a questa parte, guardo a Google senza gli occhialini rosa. Il motorone di Mountain View mi pare abbia bisogno di “divorare” contenuti in proporzione alla sua urgenza di rappresentare la porta di accesso universale alla conoscenza. Un asset questo, fondamentale nel valore e nella stessa capitalizzazione economica dell’azienda incubata nel 1998 dall’università di Stanford.
Quando quest’operazione di ingurgitamento implicasse potenziali lesioni in un interesse economico legittimo e avverso, il bene pubblico, l’accessibilità della cultura e altre nobili cause, non giustificherebbero quella che è e rimane una violazione del copyright.
Una sentenza di valore contrario, che accettasse la somma proposta da Google a compensazione forfettaria e conclusiva del contenzioso, implicherebbe l’idea che quel che non si riesce a cambiare nelle sedi legislative – leggasi la legge sul copyright – può essere sempre buttato giù da una spallata del colosso di turno.
Spallata alla quale si accodano le masse festanti, convinte che dietro ai nobili principi di Google, non si celino interessi la cui natura economica è del tutto simile a quella dei gretti detentori di diritti.