Nell’agguerrito mercato mondiale dell’auto, come si è già detto in passato, Marchionne è riuscito a sfruttare strategicamente la crisi per legare la Fiat ad altre grandi realtà produttive attraverso acquisizioni e alleanze.
Oggi l’azienda nata a Torino, pur non contando su una liquidità infinita si ritrova con una quota di mercato in Europa e con un’intera rete produttiva, nonché di vendita e assistenza negli Stati Uniti. Purtroppo però solo il marchio Fiat è stato riabilitato e il parco auto in listino, fuori dalle eccellenze che stanno facendo registrare ottime vendite, vede ancora in listino troppe auto che sono sul mercato da troppo tempo, tra cui alcune che non sono mai riuscite ad incontrare larghi consensi.
Sergio Marchionne salvò dal fallimento una Fiat su cui nessuno avrebbe più scommesso, ma tutt’ora non è fuori dei guai. Servirebbero più soldi da investire nella ricerca e per ammodernare sia gli stabilimenti produttivi che le aziende di componentistica che costituiscono la filiera produttiva della Fiat. Ma chi dovrà pagare tutto questo, noi? E perché?
Marchionne non è un uomo che ama stare davanti ai riflettori, ma di recente si è affacciato nei telegiornali per chiedere al Governo nuovi incentivi auto.
Il settore auto, con tutta l’indotto che si porta appresso rappresenta una grossa fetta dell’economia nazionale e, dicono, non c’è desiderio ambientalista che tenga: con la crisi non si può dibattere su come trasformare la mobilità, perché ora bisogna salvare l’economia, ma l’economia di chi?
Pur non vedendo nascere tanti nuovi modelli gli sforzi da parte di Fiat di rilanciare la qualità dei prodotti è evidente. La nuova Grande Punto (denominata “Evo”) ad esempio, è qualcosa di più importante di un semplice restyling di metà carriera. Gran parte della componentistica della vettura, sia esteriormente che negli interni è stata migliorata sia nella qualità dei materiali che nell’accuratezza degli assemblaggi, avvicinando lo standard qualitativo a quello che prima si era visto solo nelle Fiat polacche (Panda, 500 e Ford Ka).
Degli sforzi si stanno facendo quindi, bisogna però capire in quale direzione.
Dopo la riorganizzazione post-GM, in Italia la Fiat ha mantenuto soltanto quattro stabilimenti per la produzione di auto, a Torino, Cassino, Pomigliano e Termini Imerese. L’unico stabilimento su cui Fiat sta realmente investendo è quello di Cassino, nel Lazio. Questo stabilimento produce tutte le eccellenze della produzione italiana: Bravo, Delta, Croma e dal prossimo anno anche la Milano, erede dell’Alfa 147.
Lo stabilimento Mirafiori di Torino è uno stabilimento su cui non è stato investito molto ed è tenuto in operatività grazie ai fondi che la regione Piemonte versa nelle casse della Fiat, unitamente all’impegno ad acquistare auto del gruppo italiano, per le necessità dell’amministrazione pubblica.
Termini Imerese, secondo le intenzioni, dovrebbe smettere di produrre auto per iniziare a fabbricare componentistica. I sindacati stanno lottando contro questa decisione, definendola l’anticamera della definitiva chiusura dello stabilimento.
Infine Pomigliano, che produce auto con componentistica piuttosto scadente e mal assemblata (anche se sopra a delle valide meccaniche): 159, Brera e Spider, oltre a 147 e GT, ormai prossime al pensionamento.
Secondo quando dichiarato dai vertici Fiat, a Pomigliano saranno assegnati nuovi modelli in futuro, ma la Milano, come detto, verrà prodotta nel Lazio e la nuova ammiraglia a trazione posteriore, si vocifera che verrà costruita su un’evoluzione del pianale della Mercedes Classe E precedente all’attuale (di cui Chrysler possiede i diritti) e che verrà prodotta in Canada.
Nel frattempo la Fiat si appresta a presentare una nuova utilitaria a basso costo, che verrà prodotta in Croazia, dove Fiat ha investito ben 800 milioni di euro, per l’acquisto e l’ammodernamento di uno stabilimento che una volta apparteneva a Zastava, piccolo costruttore che produceva e rimarchiava la seconda generazione della Punto per il mercato interno, dietro licenza della Fiat.
Insomma l’est Europa per il momento si è dimostrato il vero fulcro della crescita industriale di Fiat, mentre gli stabilimenti italiani non sembrano attirare altrettanti investimenti. Con gli incentivi statali, ci stiamo forse accollando sulle nostre spalle lo sviluppo dell’economia est-europea, più che la nostra?