A distanza di alcuni lustri dalle giornate passate davanti al joystick, è più facile scorgere la differenza fra un bel gioco e un capolavoro. Innanzitutto perché, nel secondo caso, fin dal primissimo ricordo, torna la voglia di giocare. Poi perché, più che singole sequenze, immagini, o dettagli, dei capolavori riemergono sensazioni rimaste a lungo impresse nella memoria, esattamente identiche a come le si è lasciate.
Veniamo quindi all’oggetto di questo nuovo appuntamento con la nostalgia informatica: Syndicate, vera colonna portante nella storia del cyberpunk in chiave videoludica.
Frutto del talento del designer Sean Cooper, Syndicate rappresenta assieme al già citato Populous e a Dungeon Keeper, una delle più clamorose hits della Bullfrog di Peter Molyneux, nonché del mondo videoludico dei primi anni ’90.
Il gioco è ambientato in un mondo dominato dalle corporazioni, che esercitano il proprio potere con tutta la violenza immaginabile e con l’ausilio di sistemi per la manipolazione psicologica della popolazione. La tecnologia rappresenta dunque l’arma vincente nelle mani delle corporazioni, che la usano a piene mani per soggiogare la popolazione e combattere gli avversari.
Elemento fondamentale di questa “dittatura tecnologica” è la possibilità di controllare uomini da remoto, tramite un sistema denominato, con poca fantasia, CHIP.
Ecco che quindi, comodamente seduti sulla nostra poltrona, ci ritroviamo al comando della nostra corporazione – della quale dovremo scegliere nome e logo – alla conquista del pianeta, avendo come avversarie altre corporazioni. I nostri strumenti sono rappresentati da quattro agenti, controllabili individualmente e in tempo reale, che dovremo per l’appunto equipaggiare con armi sempre più letali ed upgradare con impianti cibernetici capaci di rafforzarne le capacità di difesa e attacco.
La prospettiva di gioco è isometrica e le missioni consistono in un vasto campionario di violenze assortite, dall’assassinio al rapimento (pardon, alla “persuasione coatta” tramite il fido Persuadertron), con ampio spargimento di sangue di civili e poliziotti. La gestione della corporazione prevede inoltre una fase prettamente manageriale, relativa alla gestione delle attività di ricerca per lo sviluppo di armi più devastanti ed impianti cibernetici più efficienti.
Il tasso di violenza del gioco è elevatissimo e gli effetti distruttivi delle armi sono dettagliati in modo certosino: dalla potenza dello shotgun, agli arrosti misti del lanciafiamme, alla voglia di samba scatenata dalle raffiche del minigun fino alle autentiche carneficine innescate da un colpo di Gauss Gun, ogni arma offre, ai più sadici, inesauribili spunti di divertimento.
Ma, tornando alle impressioni, quel che più colpisce – non solo gli impallinati del genere cyberpunk – è l’ambientazione, l’immersività dell’esperienza di gioco – che non a caso prevede per il giocatore non di immedesimarsi in uno sprite, ma di svolgere tutte le funzioni di “management” di una corporazione.
Nella sua versione classica, Syndicate è disponibile – quindi emulabile – per PC e Amiga, oltre per un’infinità di altre piattaforme e console (in versione semplificata). Oltre ad un expansion pack, American Revolt, di Syndicate esiste un degno sequel: Syndicate Wars. Non altrettanto originale nella trama e nel gameplay, il secondo episodio aggiunge profondità all’universo di gioco, nuove missioni e una miriade di nuovi dettagli.
Con dettagli visuali che richiamano lo stile scenografico di Blade Runner e una colonna sonora ora cupa ora frenetica, a seconda delle fasi di gioco, Syndicate è capace di trasmettere un’atmosfera tetra, un pathos forse irripetibile.
Non a caso lo stesso Molyneux, che considera Syndicate uno dei suoi titoli preferiti, si è mostrato propenso a ripescare il franchise per un sequel atteso nei prossimi mesi, probabilmente sotto forma di MMORPG. Supererà l’originale? Per il bene delle mie relazioni sociali e professionali, preferisco non saperlo.