Ne abbiamo parlato e riparlato, a proposito di Twitter, a proposito dei nuovi geni del marketing che vendono pagine su Facebook come se si trattasse di un asset valutabile e vendibile, di un benchmark di qualche rilevanza. Del resto già un paio d’anni fa Tagliaerbe sul suo blog, ci ha raccontato di come, i soliti ignoti, usassero offrire, al sempre nutrito manipolo di sprovveduti, commenti in vendita per i loro scintillanti quanto irrilevanti esperimenti all’insegna del “web 2.0? me too!”.
Ecco che Mashable ci svela l’ultimo tassello dell’ormai ridicolo puzzle del social networking: udite udite, anche gli amici su Facebook sono in vendita! Il prezzo? Un affarone: per 1.000 “amici” bastano $ 177 dollari e 30 centesimi, per 5.000 “amici” il prezzo sale a $ 654,30. Per i più ambiziosi, 10.000 “fan” costano solo $ 1.167,30, ovverosia 1 centesimo di Euro in più di 6 che bastano per un follower che penda dalle nostre labbra su Twitter.
E pensare che, nel frattempo, insignissimi professori provenienti da tutto il mondo, si confrontano sul modernissimo tema dell'”engagement” di “influencer” su social media: non è strano che da cotanta spremitura di meningi, discenda una così misera nonché consueta pratica? Non fa forse sorridere il pensare che, ad abusare di questi nuovi paroloni, siano sempre gli stessi, che ieri vendevano commenti e oggi vendono “amici” e marchette assortite?
Il fatto che oggi abbiamo scovato un “listino prezzi” non cambia d’altronde la sostanza delle operazioni già descritte nel post precedente sui geni del marketing: che si vendano fan page o pagine aziendali, il parametro utile a misurare il successo dell’operazione – e dunque le probabilità di incassare la fattura – rimane sempre il numero di affiliati, che andrà incentivato in ogni modo.
Come ho già avuto modo di sostenere, l’intrusione di queste logiche furbe all’interno dei social network, svaluta le già deboli metriche di misurazione dei fenomeni spontanei, rendendo questi ultimi di fatto indistinguibili da operazioni pilotate e artificiali.
Il risultato è che su tutto quel che i social network contengono, ivi comprese le manifestazioni spontanee, si va infittendo l’ombra dell’irrilevanza. Un’ombra che peraltro, minaccia le speranze di chi vorrebbe monetizzare questi portali (i quali campano ancora della fiducia del venture capital o di grossi tycoon) e, per altri versi, incrementa il rischio “bolla 2.0”.