Spero vi siate rilassati e riposati durante queste vacanze estive ormai concluse (sic!) per la maggiorparte degli italiani.
Dopo un periodo di pausa torna infatti la rubrica di retrogaming di Appunti Digitali e torna con un argomento particolarmente sentito sia per il sottoscritto sia per molti di voi, nati negli eighties.
Parleremo del NES (o FamiCom a seconda se ci si riferisca alla localizzazione giapponese oppure a quella USA/PAL), letteralmente LA console degli anni ’80 per tutta una serie di motivi che proveremo a sviscerare nei paragrafi seguenti.
Siete pronti? Allacciate le cinture perché ripartiamo a spron batutto!
Come consuetudine, cerchiamo di delineare il contesto storico nel quale tesseremo le fila della nostra analisi. Per farlo dovremo però muoverci contemporaneamente su due terreni diversi (o meglio ancora due mercati differenti), quindi occhio alla penna.
Prima ancora di addentrarci nel vivo della questione, vale la pena stilare una breve digressione sulla storia della compagnia nipponica più famosa nella storia dei videogiochi.
La Nintendo Koppai fu fondata nel 1889 da tale Fusajiro Yamauchi. Il suo core business era essenzialmente quello delle carte da gioco (Hanafuda), antenate in qualche modo dei giochi strategici molto di moda tra i più giovani dei giorni nostri come Magic o Yu-Gi-Oh, ma che richiedevano una qual certa capacità di analisi e probabilità e quindi apprezzate anche da un pubblico più adulto.
Fino agli anni ’50 a causa anche della storica chiusura nipponica nei confronti dei “gaijin” soprattutto in ambito commerciale, il mercato era stato solamente quello interno, seppur i risultati raggiunti dalla società risultassero rimarchevoli. Ma è chiaro che per un salto di qualità fosse necessario varcare i confini nazionali e sbarcare oltreoceano.
Nel 1956 dopo la visita allo stabilimento dell’azienda leader del settore negli Stati Uniti (rivelatasi poco più che un piccolo magazzino) la dirigenza si decise a puntare ad entrare in concorrenza con la United States Playing Card Company e dopo un cambiamento dell’assetto societario, furono vagliate altre strade per diversificare il mercato e non restare legati solamente allo storico settore delle carte da gioco.
Purtroppo però tutti le nuove iniziative fallirono miseramente ed la quotazione in borsa subito dopo le Olimpiadi del 1964 svoltesi a Tokyo colò a picco.
L’anno di svolta fu il 1966 quando attraverso il lavoro di Gunpei Yokoi (sì quel Gunpei Yokoi che abbiamo già incontrato nella cronistoria del Game Boy) la Nintendo virò decisamente verso l’industria dei giocattoli.
Dopo una rincorsa alle aziende leader, tra cui la famosa Bandai, il primo vero e significativo successo si ebbe nel 1974 quando vennero acquisiti i diritti per poter produrre la Magnavox Odyssey, ritenuta la prima console in assoluto ad essere mai stata realizzata.
Grazie al know-how acquisito, tre anni più tardi lanciò sul mercato il Color TV Game, un dispositivo elettronico con precaricate 6 versioni di Light Tennis o di Pong. Un evento molto importante per la storia della società fu l’assunzione nello stesso periodo di un giovane promettente: Shigeru Miyamoto. Suona familiare vero?
Nella seconda metà degli anni ’70 Nintendo decise di provare la carta arcade. Dopo qualche modesto risultato la svolta arrivò nel 1981 con l’uscita di Donkey Kong e il clamoroso successo ottenuto nelle sale giochi giapponesi, che portarono un incremento di fatturato e liquidità decisivi per gli sviluppi futuri.
Sono proprio gli anni ’80 il periodo di trasformazione della compagnia dalla quotazione in borsa ed un ruolo non di primissimo piano al colosso attuale. Nel 1980 infatti vennero presentati al pubblico i Game&Watch, gli antenati delle console portatili, precedenti al successo planetario chiamato Game Boy.
Continua l’impegno parallelo nel mercato dei coin-operator ed il 1983 segna l’avvento di Super Mario, il personaggio creato proprio da Miyamoto e divenuto simbolo Nintendo; ad oggi la saga più venduta nella storia dei videogiochi con oltre 200 milioni di unità, calcolate su tutte le apparizioni videoludiche dell’idraulico vestito di rosso e amato da almeno due generazioni di adolescenti.
A questo punto scindiamo la ricostruzione storica in due tracce parallele, una nipponica ed un’altra principalmente nordamericana/europea. Nello stesso anno dell’avvento, più precisamente il 15 luglio, entra nei salotti giapponesi il FamiCom, contrazione del Family Computer, un rivoluzionario dispositivo elettronico in grado di far girare giochi differenti tramite il – ventennale -meccanismo di sostituzione della cartuccia, in uso fino all’avvento delle unità ottiche.
L’accoglienza del pubblico non fu immediatamente quella sperata a causa di alcuni problemi legati a difetti di fabbricazione della console i quali resero necessario la sostituzione del primo modello con una revision dotata di una nuova scheda madre (e che risolvevano i problemi di crash dell’apparecchio).
I successi però delle icone Nintendo, da Mario a Donkey Kong, riuscirono a traghettare la compagnia attraverso quei difficili mesi, imponendo infine la legge del più forte, anche perché i concorrenti stranieri quali Commodore non avevano alcuna penetrazione nel Sol Levante e quindi riprendersi fu decisamente più facile.
Spostiamoci ora negli Stati Uniti. I dati di vendita ottenuti dalla società nipponica non passarono certo inosservati ed i tempi per un ingresso convinto nel mercato statunitense erano ormai maturi. L’industria dei videogiochi aveva sofferto di una contrazione repentina, nota anche come la crisi del 1983 (o 1983 videogame crash se preferite la terminologia anglosassone).
La crescita repentina del fenomeno e l’interesse del pubblico americano venne preso sottogamba dagli operatori del settore che non erano riusciti a proporre titoli effettivamente di spessore. La concorrenza dei personal computer unita alla proliferazione di macchine diverse tra loro fecero il resto. La solfa della minestra riscaldata aveva insomma esasperato i potenziali acquirenti e le vendite crollarono improvvisamente mandando in bancarotta la maggiorparte delle software house dell’epoca.
Il primo tentativo di conquistare gli USA passò attraverso la ricerca di un accordo con Atari.
Se vi ricordate ne abbiamo già parlato a proposito del Mirai, un prototipo mai rilasciato dalla casa americana e secondo varie ipotesi sarebbe dovuto diventare un concorrente del Neo Geo.
La trattativa si arenò nel momento in cui Nintendo dettò le condizioni per la distribuzione in esclusiva del proprio cavallo di battaglia localizzato, ritenute troppo svantaggiose dalla dirigenza americana.
Nel 1984 il plan aziendale abbandonò questa pista e decise di puntare su una versione ad hoc chiamata Nintendo Advanced Video System, un sistema sempre basato sull’hardware del FamiCom dotato di tastiera e di una versione del BASIC, come concezione simile quindi al Commodore 64.
I costi di produzione troppo elevati fecero tramontare questo progetto ed arriviamo quindi al 1985, precisamente al Consumer Electronics Show, per gli amici CES, una delle esposizioni di elettronica di consumo non aperte al pubblico più importanti nel mondo.
Viene svelata per la prima volta la versione americana (basata sulla seconda rev nipponica quindi non affetta dai problemi di crash di cui abbiamo parlato in precedenza), la cui commercializzazione effettiva è datata 18 ottobre in un numero abbastanza limitato di esemplari anche per tastare il polso del pubblico.
Ricevuta la risposta positiva che tutti si attendevano, nel febbraio del 1986 la distribuzione venne allargata anche al Canada.
Successivamente fu la volta del vecchio continente e dell’Australia la cui distribuzione fu affidata alla Mattel, storica casa impegnata nel settore dei giocattoli (ricordate He-Man vero?).
Leggiamo dunque le caratteristiche tecniche di questo piccolo gioiello:
- CPU: Ricoh 8 bit basato sul MOS 6502 con clock a 1.79Mhz per la versione NTSC (2A03), 1.66 Mhz per la versione PAL (2A07)
- RAM: 2KB 2 KB dedicati per la VRAM
- Video: chip dedicato e sviluppato sempre da Ricoh (PPU), con risoluzione massima supportata di 256*240 px ed una palette di 48 colori e 5 tonalità di grigio
- Audio: 5 canali
- Supporto: cartuccia a 60 o 72 pin con supporto fino ad un massimo di 32KB (espandbili eventualmente tramite la tecnica del bank switching)
- Uscite: RF, RCA
Il successo fu assolutamente senza precedenti e di gran lunga superiore ai prodotti antagonisti o appartenuti alle generazioni (questa lo ricordiamo è la terza).
Oltre 60 milioni di unità vendute è un numero che parla da solo, anche perché dobbiamo considerare che ci troviamo negli anni ’80, quando il settore dei videogiochi pur essendo diventato di massa non aveva il bacino attuale di utenza ed il polo attrattivo costituito dai media e dalla Rete.
Eppure, dopo le due Playstation ed il Wii risulta la console con più vendite registrate in assoluto.
I motivi dell’accoglienza così “benevola” da parte del pubblico sono presto detti.
I personaggi Nintendo più famosi avevano fatto breccia nel cuore degli appassionati già nel mondo delle sale giochi ed i titoli proposti per la piattaforma casalinghi erano conversioni o novità veramente di spessore; basti pensare che il NES ha dato i natali a saghe tuttora giocate e molto apprezzate come il già citato Super Mario, ma anche Zelda, Metroid, Contra.
La facilità di utilizzo e la varietà dei titoli, dai platform, agli sparatutto, ai picchiaduro ce n’era davvero per tutti i gusti.
Lo dimostrano anche le versioni rilasciate delle unità HW e gli accessori piuttosto rivoluzionari per l’epoca, come il Power Glove o il joypad wireless con tecnologia ad infrarossi.
Nel 1986 Nintendo Japan propose anche il Famicom Disk System, una piattaforma che utilizzata dei floppy disk proprietari con formato a 2.8 pollici. Poiché i supporti disponevano anche della funzionalità di scrittura per alcuni giochi, come il già citato Zelda, venne messa a disposizione anche un’interessante funzionalità di salvataggio.
Poi purtroppo la pirateria e la decisione di non esportare la macchina al di fuori dal mercato giapponese ne decretarono la fine, nonostante i 4 milioni di unità piazzate fino ad allora.
Sharp dal canto suo uscì con una versione chiamata Twin Famicom che unisce la tecnologia presente nel NES e nell’FDS.
Il Master System ed il precedente SG-1000 non riuscirono ad offrire una sufficiente “potenza di fuoco” per contrastare il successo Nintendo, tanto da costringere Sega a rilasciare verso la fine degli anni ’80 la propria macchina di successiva generazione, a 16 bit, ovvero il Mega Drive, un’altra console che ha segnato il cuore di molti appassionati e di cui parleremo senz’altro più avanti.
Il Nintendo Entertainment System (o FamiCom) resta però l’emblema di un oggetto dal fascino senza tempo, ancora adesso molto ricercato dai collezionisti ed appassionati di retrogaming (tanto che alcuni giochi non rilasciati ufficialmente raggiungono costi di centinaia di migliaia di Euro) ed in grado di risvegliare emozioni provate quando, bambini con le mani paffutelle, muovevamo i primi passi nel mondo dei videogiochi.