Pubblichiamo la seconda parte di un guest post di Ray_of_light
Nella prima parte abbiamo fornito alcuni accenni generali sul mondo delle batterie e iniziato il discorso relativo alle batterie primarie, che oggi esauriremo per passare, nel prossimo post, alle batterie ricaricabili sigillate.
Il secondo tipo di batterie primarie, quello oggi più diffuso, è costituito dalle batterie alcaline. Perché vengono denominate “alcaline”, in seguito al tipo di elettrolita, e non con in nome del materiale utilizzato per i poli? Perché utilizzano zinco e biossido di manganese mescolato a grafite, esattamente come le loro più antiche controparti. Le due grosse differenze tra batterie a zinco carbone e quelle alcaline sono l’elettrolita utilizzato e la tecnologia costruttiva. Iniziamo dall’elettrolita.
Il cloruro di ammonio o di zinco è un sale neutro. Ha quindi una conduzione ionica relativamente bassa, per cui la batteria ha una resistenza elettrica elevata, e conseguentemente una bassa efficienza. Per aumentare l’efficienza della batteria, e quindi poterla utilizzare ad alti regimi di scarica, bisognava trovare un elettrolita a bassa resistenza. Gli elettroliti acidi o alcalini hanno questa proprietà, ma lo zinco è un materiale cosiddetto “anfotero” e quindi viene corroso velocemente sia dai composti acidi, sia da quelli alcalini. L’inventore della pila alcalina ebbe un lampo di genio: lo zinco, quando mescolato a piccole quantità di mercurio, forma un “amalgama” che è inattaccabile dai composti alcalini.
Allora riprogettarono la pila alcalina, utilizzando un cilindro di acciaio che contiene il biossido in forma compattata e non più in pasta, un separatore inorganico imbevuto di idrossido di potassio, e lo zinco polverizzato con aggiunta di poco mercurio al centro della batteria, con un ago di acciaio che faceva da collettore per il polo negativo: era nata la pila alcalina. All’epoca era costosissima, poi decollò sul mercato per via delle sue eccellenti prestazioni.
Poi vennero gli anni 90 e la rivoluzione verde. Tutto il mercurio utilizzato nelle batterie alcaline, che venivano prodotte in quantità sempre maggiore, lo si ritrovava nei cibi, al pari del piombo utilizzato all’epoca come antidetonante nella benzina per automobili. I metalli pesanti come il piombo, il mercurio e il cadmio confondono e disattivano il sistema immunitario umano, e avvelenano la chimica del fegato.
I chimici si trovarono a dover sostituire il mercurio con qualcos’altro, e l’unica scelta possibile fu quella di utilizzare un “buffer“. Un “buffer” è un composto capace di mantenere un ambiente neutro anche quando vengono aggiunti composti acidi o alcalini, fino a che non si esaurisce. Cosi avemmo le nuove batterie alcaline. Con qualche sorpresa.
Il composto “buffer”, in presenza di escursioni termiche notevoli, di assorbimenti di corrente bassi e continui, o di shock meccanici impartiti alla batteria, si esaurisce o diventa instabile. L’idrossido di potassio attacca lo zinco, si produce gas idrogeno, e vi è una perdita di elettrolita alcalino, e in ambienti chiusi come una torcia subacquea, vi può essere una esplosione; di fatto è proibito trasportare torce subacquee, con le batterie inserite, a bordo di aerei. In generale non vi è perdita di biossido di manganese perché quest’ultimo è ben compattato all’interno della batteria, e l’idrossido di potassio fuoriuscito, sotto l’azione dell’anidride carbonica presente nell’aria si trasforma nel più innocuo carbonato di potassio.
Le batterie alcaline economiche, dopo circa tre anni di conservazione, vanno incontro a perdite o più frequentemente, ad una massiccia auto scarica; alla data di scadenza sono per la maggior parte inutilizzabili. Un po’ meglio si comportano le marche che qui indico del “coniglio” o dell'”orsacchiotto” le quali, utilizzando materiali più puri, hanno date di scadenza più prolungate, fino a sette anni. Il vero vantaggio di queste marche è che vi sostituiscono l’intero apparecchio se viene danneggiato dalle loro batterie, a patto che non sia stata superata la data di scadenza.
Le batterie alcaline hanno delle varianti commerciali in cui vengono mescolati degli additivi al biossido di manganese, per ridurre ulteriormente la resistenza interna, o aumentarne momentaneamente le prestazioni, che vanno bene per caricare un flash, ad esempio.
Passiamo ora al terzo tipo di batterie primarie che possiamo trovare in commercio, ossia quelle a quelle al litio. Queste batterie fanno parte della categoria di batterie con elettrolita non acquoso.
Di batterie al litio ne trovate in commercio due tipi principali, con tensione da 3 Volt, e quelle da 1,5 Volt. Quelle da 3 Volt vengono utilizzate in alcune macchine fotografiche a film e in tutte le torce elettriche professionali, e sono prodotte da un po’ tutte le case. Quelle da 1,5 Volt, formato Stilo (AA) e ministilo (AAA) sono prodotte dall’unica casa che ne detiene il brevetto, già qui citata come la marca del “coniglio”.
La batteria primaria al litio utilizza litio metallico al polo negativo, e biossido di manganese al polo positivo. La somma elettronegativa tra la combinazione di litio e biossido di manganese produce la tensione di 3 Volt. Siccome il litio metallico reagisce in maniera violenta con l’acqua, prima producendo idrogeno e poi incendiandolo, si utilizza un solvente organico come elettrolita, come il tetracloruro di carbonio; l’elettrolita in queste batterie non è standard in quanto è tra gli elementi critici della batteria, ed ogni produttore modifica il proprio e le composizioni esatte sono in generale segrete. Il problema di queste batterie è dovuto proprio al fatto che l’elettrolita non può contenere acqua; i solventi organici hanno una resistenza elettrica tipicamente cento volte superiore a quelli acquosi.
Cosi, la batteria viene prodotta da tre fogli, uno da biossido di manganese compattato su una rete di acciaio o nichel, un foglio di polipropilene imbevuto di elettrolita, e da un foglio di litio metallico. I tre fogli sono arrotolati e inseriti in un cilindretto di acciaio, che funge anche da polo negativo. Questa costruzione massimizza la superficie esposta e riduce l’effetto negativo della elevata resistenza elettrica dell’elettrolita. Tutte le pile al litio sono dotate di un componente chiamato PTC (Positive Temperature Coefficient Resistor), in generale sistemato sotto il polo positivo, che limita il flusso di corrente in caso di cortocircuito. Infatti, in caso di cortocircuito si possono formare gas, o addirittura acqua, che possono provocare una violenta esplosione della batteria.
Le batterie primarie al litio hanno una forma chimica stabile, nessun rischio “autoimmune” come le batterie alcaline e hanno una data di scadenza che va dai dieci ai quindici anni dalla data di produzione. Purtroppo anche nel caso delle batterie primarie al litio si sono viste su Ebay o nei mercatini o da rivenditori poco scrupolosi batterie di provenienza dubbia che utilizzano biossido di provenienza minerale, o impuro, o che contengono tracce di acqua, e /o senza il PTC. Tali batterie sono da evitare perché si disattivano dopo due o tre anni contro i quindici previsti, e possono esplodere con facilità.
Le batterie al litio primarie da 3 V vengono prodotte in formato 123 o anche detto 2/3 A. Una piccola spiegazione. Le varie norme JEDEC, ANSI, e quelle giapponesi chiamano una batteria di misura A, AA, AAA, C, D, F eccetera. Ad esempio, una batteria 123 corrisponde ad UNA cella di 2/3 di misura A, da cui 123.
La misura AA, la comune batteria stilo, misura 14 mm di diametro e 50 mm di lunghezza. Ultimamente, a causa della globalizzazione, è stato necessario mettere d’accordo tutti cosi su spinta dei cinesi utilizziamo un indicatore in chiaro: AA si chiama 14500, A si chiama 16500 (ma non è commerciale però), C è 26500, ossia 26 millimetri di diametro e 50 di lunghezza, eccetera. Le celle delle nostre batterie dei laptop sono di misura 18650, ossia 18 mm di diametro e 65 di lunghezza, e non hanno un corrispettivo nel vecchio sistema con le lettere.
Veniamo alle batterie al litio da 1,5 V prodotte da Energizer, che ne detiene il brevetto e ne è l’unico produttore. Sono batterie eccezionali, senza rischio di perdite chimiche, con quindici anni di data di scadenza, un’efficienza e affidabilità elevatissima, e funzionano al freddo dove nessun altra batteria può erogare energia. In offerta al supermercato le ho trovate a sette euro per quatto stilo. Questa batteria ha un polo negativo di litio, un elettrolita che usa un solvente organico a base di eteri e nitrometano in cui è disciolto fluoruro di litio come materiale attivo, e un polo positivo composto da solfuro di ferro, invece del biossido di manganese. La batteria viene costruita in maniera “arrotolata”.
La “magia” che ha permesso di abbassare la tensione della batteria da 3 Volt a circa 1,7 Volt è stata l’aggiunta di ioduro di potassio all’elettrolita, ed Energizer è assai aggressiva, anche legalmente, nel conservare la produzione di questa batteria eccezionale, e che eccede ogni standard del mercato civile e militare. Eventualmente, alla scadenza del loro brevetto, i prezzi di abbasseranno in seguito alla concorrenza, e magari saranno disponibili anche in formati che non siano la stilo e la ministilo.
Ed ora veniamo all’ultima categoria di batterie primarie disponibili sul mercato, ossia le batterie a bottone. Ne esistono di tre tipi differenti: alcaline, all’ossido di argento, e al litio.
Anche qui esiste, ed è grave, il problema della denominazione. Cosi la stessa batteria “LR44” può chiamarsi “357” oppure “AG13” a seconda del produttore.
Le batterie a bottone vengono utilizzate negli orologi da polso, nelle calcolatrici, nei giocattoli, nei telecomandi e in tutti gli altri apparecchi che consumano pochissima energia. La costruzione di una batteria alcalina a bottone non è differente da quella cilindrica, per quanto riguarda la composizione chimica; solo la capacità e l’efficienza sono ridotte. Quando è necessario alimentare orologi costosi o strumenti critici, si preferisce utilizzare le batterie all’ossido di argento, utilizzato al posto del biossido di manganese, e che non soffrono dei noti problemi di inaffidabilità delle batterie alcaline. Tuttavia l’impossibilità di eliminare il mercurio dalle batterie all’ossido di argento ne ha limitato fortemente l’uso laddove viene applicata la direttiva ROHS (Reduction of Hazardous Substances).
Una successiva categoria di batterie a bottone sono quelle al litio. In generale, sono più larghe e sottili delle controparti alcaline, e hanno una tensione di 3 Volt invece di 1,5 Volt. La chimica utilizzata è litio metallico e biossido di manganese, esattamente come quelle cilindriche. La denominazione di queste batterie, essendo state introdotte nell’epoca della globalizzazione, segue una logica semplice e corretta. Ad esempio, una batteria CR2016 ha un diametro di 20 millimetri e uno spessore di 1,6 millimetri. Queste batterie esistono anche con un differente elettrolita, il tionil cloruro, e in tal caso il prefisso della batteria è BR invece di CR; esse garantiscono, per esclusivo uso di backup, una capacità doppia e una durata molto più lunga oltre che ad un migliore comportamento ad alte temperature. Tuttavia possono avere un comportamento esplosivo in caso di abuso meccanico, e dopo un incidente ad un aeroporto negli Stati Uniti, sono quasi scomparse dal mercato.