Con il lancio di iTunes 9, Apple ha introdotto una feature di grande rilevanza filosofica, per quanto non esattamente rivoluzionaria. Diciamo che più che una nuova feature, è stato re-introdotto un modo di acquistare la musica che andava per la maggiore fino a una decina di anni fa: l’album.
Per la verità gli album su iTunes si potevano acquistare anche prima. Diciamo dunque che la novità consiste nell’enfatizzare il “bello” di acquistare un album invece che singole tracce.
Si tratta dunque di una non-novità, un modo di arricchire l’esperienza dell’acquisto di un album con video, testi, scatti fotografici: tutto quel che normalmente si va a cercare in decine di siti diversi per gli artisti più seguiti.
La non-novità – denominata iTunes LP e, tanto per cambiare, non disponibile in Italia – ha ovviamente i suoi risvolti commerciali: promette infatti di ottenere un miglior guadagno per traccia venduta, cosa che oltre a far sorridere Apple, non dispiacerà alle case discografiche. La rilevanza di questo cambiamento è tuttavia molto più culturale che commerciale.
Una delle rivoluzioni della musica digitale, è stata la liberazione dal vincolo di dover acquistare album a prezzi esorbitanti, infarciti di ciarpame e tracce riempitive, per accaparrarsi una sola canzone di successo. L’alternativa era rappresentata dalla versione singola: una sola traccia (e qualche remix puzzolente) per circa la metà del prezzo dell’intero LP.
In quest’ottica la vendita di album, arricchiti di materiali e memorabilia in formato digitale, rappresenta un ritorno al passato, una restaurazione di antichi privilegi, che a qualcuno farà storcere il naso. Mi pare tuttavia che dietro a questa mossa vi sia la risposta ad un’esigenza inespressa del mercato, perlomeno di parte di esso (incluso il sottoscritto): la possibilità di riappropriarsi, tramite mezzi digitali, di quel pezzo di storia che è stato l’LP.
Gli ultimi dieci anni abbondanti hanno dunque mutato in me e – a giudicare dalla ponderazione del marketing Apple – nel mercato, qualcosa nell’approccio del pubblico alla musica. Si tratta, almeno per quel che mi riguarda, di un processo di maturazione del gusto musicale, di una più sviluppata tendenza all’approfondimento, che nell’album trova miglior soddisfazione. Sarà una rivoluzione collettiva o un servizio destinato a restare di nicchia?
Per come la vedo, la reintroduzione dell’album risponde a due diverse esigenze: innanzitutto quella di poter accedere alla piena esperienza del lavoro artistico, attraverso l’inclusione di materiali extra (fra cui i testi, pezzo fondamentale) che rendono più intensa la fruizione dell’opera. È questa un’esigenza che solitamente trova soddisfazione nell’acquisto di pittoreschi, ma ahimè poco fruibili per il grande pubblico, dischi in vinile.
La seconda esigenza è prettamente legata alla musica: ad attirare verso un artista è spesso un album, e ad attirare verso un album è spesso un brano: mi è capitato spesso di trovare, percorrendo all’inverso questo sistema di “esche”, artisti poi finiti nella mia ristretta seleção. In quest’ottica, quando attratti da una traccia, la si acquista isolatamente, si rischia di perdere tutte le altre, le quali talvolta non sono un cacofonico riempitivo, e spesso contengono la parte più raffinata dell’album.
Non serve essere appassionati del progressive, delle sue lunghissime tracce e dei tipici concept album del genere, per capire che un album può essere qualcosa di più della somma delle sue tracce. Da un “banale” Listen without prejudice Vol. 1, articolata narrazione in chiave pop della maturazione personale di George Michael, a Storia di un impiegato e Creuza de ma di De Andrè, a 900 di Paolo Conte, ad Animals dei Pink Floyd (si potrebbe andare avanti a lungo), esistono album che vanno fruiti per intero, possibilmente di seguito, per restituire pienamente il loro significato.
Chi conosce questi pochi album e gli infiniti altri che, nel loro complesso, raccontano una storia, esplorano uno stile o un tema, guarderà certo con aria di sufficienza coloro che, ascoltato Il bombarolo, credono di aver chiuso i conti con il De Andrè più ribelle, ascoltata By this river non corrono a comprare l’intero Before and after science, ascoltata Wuthering heights non provano curiosità per The kick inside o acquistata l’ultima “greatest hits”, pesano effettivamente di aver colto il meglio di un artista.
Il che è tanto più vero quando si considera che le radio commerciali, più che diffondere buona musica, assecondano nella stragrande maggioranza dei casi la logica delle hits, dei singoli di successo, piuttosto che guidare l’ascoltatore verso le perle nascoste di un artista o un album.
È d’altronde la stessa macchina del marketing discografico, con il suo pedissequo insistere sulle hits, che ha in certo modo determinato un’intolleranza per gli album, poi sfogata nel download.
Dopo l’ubriacatura di tracce singole, iTunes LP è dunque il segnale di un ritorno in massa all’album? Temo di no. Dopotutto un cospicuo numero di album, forse la maggioranza, rappresenta ancora nient’altro che una hit farcita di ciarpame e servita su un piatto d’argento.
E poi la traccia a 99 centesimi o meno, la possibilità di accostarla ad altre di proprio gusto in personali playlist, la fruizione della musica sempre più lontano dalla poltrona di fronte allo stereo, rendono il ritorno dell’album un fatto di nicchia, che dopotutto riguarda gli stessi che già prima le singole tracce non le pensavano neppure. E che magari, all’acquisto di un LP su iTunes (le cui tracce tra l’altro hanno lo stesso bitrate delle “solite”), preferiranno il caro, vecchio, crepitante vinile.