Twitter, i social network in generale, sono spesso visti come uno strumento di gioco, o una moda futile e senza senso. Alessio ne sottolinea spesso gli aspetti bassi e meramente commerciali, ma attenzione a non eccedere nelle generalizzazioni.
Come speso accade su Internet e nella vita reale, bisogna saper scegliere, selezionare gli argomenti, le persone da frequentare, le fonti da seguire. Gli strumenti in genere sono neutri, inutile montare campagne di religione. Twitter è uno strumento, può essere usato per scopi elevati ed etici, o per produrre valore in termini di conoscenza, oppure anche per fare spam e pubblicità più o meno occulta.
Ad esempio se chiedessimo a cosa serva Twitter ad uno dei protagonisti delle proteste in Iran, non credo che la prima cosa che vi risponda sia “è uno strumento per fare spam e perdere tempo online”.
[Università di Tehran, 17.07.09]
Non potendo fare questa domanda ad uno di loro, ne ho rivolta qualcuna a Luca Alagna, che ha seguito le vicende iraniane proprio tramite i social network.
Come è iniziata la tua attività di monitoraggio, e quali scopi ti prefiggevi?
Subito dopo le elezioni mi accorsi che stava accadendo qualcosa di importante e inaspettato in Iran, un’area chiave del Medio Oriente e del mondo.Decisi di iniziare a raccogliere le notizie che passavano sui social media come Twitter, Facebook, Youtube, Flickr e sui siti web e blog per poi scriverci un articolo.
Sapendo che in Iran esisteva una comunità vivace ed eterogenea di blogger (la metà della popolazione è sotto i 25 anni), che è diffusa la connessione a internet, soprattutto mobile, avevo interesse a mostrare alcuni aspetti che sarebbero stati poco coperti dai mass media tradizionali in una crisi del genere. Invece mi trovai di fronte a una situazione esplosiva.
D. I media tradizionali, mostravano di conoscere e divulgavano queste informazioni? E se non lo facevano, perché?
Di fronte agli avvenimenti che si susseguivano i media tradizionali sembravano paralizzati, non riuscivano a fornire aggiornamenti in tempo reale su ciò che stava accadendo.Al punto che su Twitter venne aperto un “canale” dal nome #CNNfail : il fallimento della CNN (il broadcaster per eccellenza).Filtrando i social media mi accorgevo di avere delle informazioni che non erano state ancora date da nessuno, con una frequenza altissima, quasi ingestibile; lì capii che la portata degli avvenimenti era persino superiore a quella che mi aspettavo, i social media erano diventati l’unico canale di news.
I media tradizionali fallivano per diversi motivi. Inizialmente un motivo pratico, il governo iraniano, prevedendo tumulti, aveva già espulso molti corrispondenti stranieri ed era riuscita a bloccare negli alberghi quasi tutti quelli rimasti a Tehran, disturbando o oscurando le loro comunicazioni, comprese quelle satellitari: non è sorprendente, i media tradizionali possono essere controllabili.In secondo luogo la protesta è organizzata in maniera diffusa sul territorio. Non c’erano (nè ci sono) manifestazioni unitarie che percorrono la città, semplicemente la gente spunta come funghi in quasi ogni piazza e strada importante, dopo essersi data appuntamento via internet o sms, dando vita alla protesta in una modalità che ricorda più i nostri “flashmob” che una classica rivolta di piazza.
Per i reporter di tv e giornali sarebbe stato impossibile trovarsi ovunque per testimoniare gli accadimenti: i media tradizionali hanno effettivamente dei limiti “fisici”.Infine tv e giornali non sono stati in grado di filtrare i social media per costruire la notizia.Alcuni hanno lasciato la parola a singoli blogger iraniani (col pericolo che venissero controllati dagli agenti del governo), altri hanno mostrato acriticamente immagini e video che potevano facilmente essere manipolati, come nel caso della ragazza davanti al corteo di Ahmadinejad.
Il caso più paradossale è stato quello di El Pais che non riuscendo a dare alcun aggiornamento ha semplicemente inserito nella versione online l’intero canale Twitter #iranelection sul quale, insieme alle notizie dei blogger iraniani, girano anche controinformazioni del governo, tentativi dell’intelligence straniera e fake di ogni tipo.
[Fine prima parte – continua]