La tecnologia dentro le batterie, prima puntata

Pubblichiamo la prima parte di un guest post di Ray_of_Light

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Il telecomando della televisione, quello dell’auto, del condizionatore, del cancello. Il cellulare, l’auricolare bluetooth, il player MP3, la videocamera, la macchina fotografica. La radiolina, la torcia elettrica, la luce d’emergenza, il cacciavite elettrico, l’orologio da polso e quello da parete. Il rasoio elettrico, il fissa ciglia, l’epilatore, lo scaccia zanzare e l’aspira briciole. Il laptop, il netbook, il DVD player.. e l’automobile, con la sua batteria che pesa decine di chili.

Voglio dimenticarmi di una innumerevole serie di giocattoli, e tutta una serie di strumenti professionali che richiedono una alimentazione portatile, limitandoci a quelli di uso comune.

Le batterie hanno un uso universale, e la loro presenza negli apparecchi portatili tende ad aumentare sempre più nel tempo. In questa nostra analisi ci soffermeremo su quelle di uso più comune, tralasciando quelle per uso specializzato, che troveremmo ad esempio in un satellite, in un sottomarino od un treno. Procediamo innanzitutto con una breve introduzione.

Le batterie vengono distinte in due grandi classi: primarie e secondarie, ossia batterie non ricaricabili, e batterie ricaricabili. In generale, le prime, a parità di capacità, sono meno costose delle seconde. Le batterie secondarie vengono spesso indicate come “accumulatori”.

La parola “batteria” si riferisce ad un insieme di celle elettrochimiche elementari, dello stesso tipo, e connesse elettricamente tra di loro in modo da aumentarne la tensione, la capacità, o entrambe. Per fare un esempio, una batteria misura AA (in Italia chiamata anche “stilo”) è costituita da una singola cella; una batteria da 9 Volt per il telecomando è costituita da sei celle da 1,5 Volt in serie.

Il “Volt” è l’unità di misura della tensione della batteria; Ampere è la misura di misura della corrente elettrica che fluisce in essa, e Ampere/ora è l’unità di misura della sua capacità. Una batteria da 2,2 Ah è capace di erogare 2,2 Ampere per un’ora, 1,1 Ampere per 2 ore, e cosi via.

Tuttavia questa relazione non è lineare; quando un produttore specifica la capacità di una batteria, di solito si riferisce ad un periodo di scarica di venti ore. In altre parole, una batteria primaria da 10 Ah fornirà 10 Ah se scaricata in 20 ore, ma solo 6 Ah se scaricata in un ora. Per le batterie secondarie (esclusi molti tipi al piombo) il periodo di scarica su cui viene indicata la capacità nominale è invece di 5 ore. Questa disparità di energia fornita da una batteria, a varie velocità di scarica, viene indicata come “efficienza”.

Ogni batteria è costituita da due poli, uno positivo e uno negativo, a volte riferiti come anodo e catodo. Dentro la batteria, sia essa primaria o secondaria, sono presenti almeno tre materiali chimici: uno al polo positivo, uno al polo negativo, ed un altro, chiamato genericamente “elettrolita”, inframmezzato fra i due. L’elettrolita non partecipa attivamente alla produzione di energia elettrica, ma permette il passaggio di ioni fra i due poli.

Le batterie primarie

Fatta questa necessaria introduzione, iniziamo con la descrizione delle batterie primarie. La categoria più antica sono quelle chiamate a zinco carbone, a volte chiamate batterie saline, o batterie Leclanché. Nella prima denominazione, che è quella formalmente corretta, ci si riferisce alla composizione dei poli; nel secondo caso a quella dell’elettrolita utilizzato; nel terzo, a quello dell’inventore.

La batteria zinco carbone è indicata per usi a basso assorbimento di corrente, in quanto ha una bassa efficienza. Essa è costituita da un cilindro di zinco, un foglio di carta imbevuto di elettrolita che inizialmente era il cloruro di ammonio, e biossido di manganese misto a grafite al polo positivo.

Il biossido di manganese è un potentissimo ossidante, se provate a passarlo su un pezzo di ferro quest’ultimo si arrugginisce in pochi secondi. Durante la scarica esso passa da una forma chimica trivalente a una bivalente, lo zinco passa in soluzione assottigliando il cilindro, e si forma acqua come sottoprodotto. A fine scarica il cilindro si può forare, e l’acqua trascina il biossido di manganese fuori dalla batteria nell’apparecchio utilizzatore, che diventa inutilizzabile dopo questo “allagamento”.

Poi i chimici si sono ravveduti. Hanno sostituito il cloruro di ammonio con il cloruro di zinco, che non forma cosi tanta acqua a fine scarica, hanno inspessito i cilindri di zinco, e aggiunto un involucro di acciaio con delle guarnizioni per contenere eventuali fuoriuscite. Le moderne pile a zinco carbone di buona marca, quattro stilo per un euro e mezzo, hanno poche probabilità di distruggere il vostro orologio da parete o la sveglia portatile.

Con sorpresa, però, negli ultimi tempi ho trovato nei mercatini delle batterie di provenienza quasi sicuramente cinese, costruite con le vecchie tecnologie, e con un’aggravante. Ossia, utilizzano biossido di manganese di provenienza minerale, ossia da miniera. Normalmente il biossido utilizzato deve essere estremamente puro, per evitare reazioni chimiche parassite, e viene ottenuto per riscaldamento in forni appositi. Queste batterie si scaricano da sole in sei mesi, terminando la loro vita inutile in una pozzanghera ossidante.

Torneremo prossimamente sull’argomento con ulteriori approfondimenti dedicati alle batterie primarie, prima di entrare nel campo delle batterie secondarie.

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