Starà cambiando il mondo, le nostre abitudini, il colore della luna e il numero di bollicine dentro una birra media, ma non cambia le logiche truffaldine che conosciamo dai tempi di Adamo ed Eva o giù di lì.
Ebbene sì, anche in Twitter esiste il modo, per giunta piuttosto economico, di ottenere followers più rapidamente di quanto il proprio talento (o la propria notorietà, maturata presso sedi in cui lo scambio di opinioni è più agevole e meno unidirezionale) ne guadagni.
Il numero di followers, autentico parametro di confronto virile del twittaro, viene così a scollarsi dall’interesse di ciò che si “twitta” o dall’interesse che si suppone la vita quotidiana di una persona di qualche fama possa suscitare, per prendere il binario arcinoto e ottimamente collaudato dal web 2.0 nel suo complesso, ossia di quella che potremmo definire con qualche approssimazione la “marchetta user-generated”.
“Il prezzo? Un affarone!” Proprio come prometteva il mitico Conte Oliver al suo ricettatore di fiducia Bing (prima che quest’ultimo si dedicasse alla ricerca web), il prezzo è ridicolmente basso: 87 Dollari USA per mille follower, pari a poco più di 6 centesimi di Euro per utente.
Se dunque riconosciamo a Twitter un numero di utenti pari a 5 milioni (e non poniamoci per ora il problema degli utenti attivi), con una banale moltiplicazione arriviamo a un valore totale di € 300.000 per aggiungere l’intera base utente di Twitter. Il che mi pare decisamente esplicativo delle difficoltà di monetizzazione del portale e, soprattutto, della futilità della web economy nel suo complesso.
Non a caso Rupert Murdoch, fresco di taglio di un terzo della forza lavoro di MySpace, ha laconicamente definito Twitter con l’aggettivo “worthless”.