Vi invito a leggere un’interessante riflessione di Massimo Mantellini sul ruolo che il web e tutte le parti che lo compongono stanno avendo nell’informare il mondo sui fatti dell’Iran.
Una lucida analisi che mostra un flusso di informazioni capillare capace di superare le censure e sparpagliarsi per il mondo fino a raggiungere i canali dell’informazione istituzionale. Viene descritto un quadro in cui ancora il cosiddetto citizen journalism e l’editoria faticano a riconoscere i propri limiti e ad organizzare il lavoro in un flusso che possa avvantaggiare tutti, nella completezza del servizio reso alla società e nel riconoscimenti dei rispettivi meriti.
Vengono tirati in ballo redazioni web e telegiornali che se pur sempre pronte a tacciare (quasi sempre a ragione) di dilettantismo un tipo di informazione amatoriale, capace di fornire testimonianze ma non di raccontare i fatti con occhio critico, ma che poi sono pronti ad appropriarsi e a trasmettere in streaming o via etere materiale poco onestamente scaricato da YouTube.
Sempre secondo Mantellini i contenitori online si stanno dimostrando i baluardi della libertà di informare ed essere informati, che pongono le basi per un’informazione che ne potrà trarre giovamento quando ognuno nel suo ruolo smetterà di accusare i limiti dell’altro imparando a cooperare.
A questo ultimo punto debbo rispondere allargando la riflessione, perché da quel che si è visto fino a questo momento, al di là dei giudizi sulle varie possibilità di fare notizie, ognuno del suo ruolo sembra aver dato il peggio di sè, a tal punto che la libera contribuzione in rete nei giorni dei disordini in Iran, si sta dimostrando un formidabile strumento per fare demagogia e bieco sensazionalismo sul sangue e sul dolore.
Una volta esisteva il giornalismo d’assalto, quello fatto da professionisti, armati di coraggio e spesso del dubbio che nessuno comprerà le storie che si hanno intenzione di raccontare. Un giornalismo che non rispetta i confini e le imposizioni, alla ricerca dei punti di punti di vista nuovi rispetto a quelli ufficiali.
Sto parlando di un modo di lavorare che sembra essere oggi meno richiesto. Se l’arresto e la dura condanna ai lavori forzati inflitta dal Governo della Corea del Nord a Laura Ling e a Euna Lee ha fatto il giro del mondo passando anche per i grandi organi di stampa, è sempre più difficile che questi ultimi ospitino lavori coraggiosi, non solo dal punto di vista delle difficoltà sul campo ma anche da quello intellettuale.
Dalla redazione di YouTube fanno sapere di essere orgogliosi di rappresentare un veicolo per la libertà di espressione contro la censura. L’articolo che descrive il ruolo del tubo sulla circolazione delle notizie, usa il tono ipocrita dell’imparzialità per descrivere l’importanza assunda da un video che ha raggiunto tutti i media del mondo, passando proprio per questo servizio, andando a definire l’immagine di una martire, divenuta il simbolo della lotta per la libertà i Iran.
All’interno del testo è incluso anche il video in questione e non ho intenzione di linkarlo per motivi che vanno al di là della crudeltà delle immagini, in cui viene mostrata una ragazza che muore fissando un videoamatore perverso che va a cercare gli occhi della disgraziata fin sopra la sua testa, lasciandola morire con il caldo e confortante sguardo di un obiettivo in policarbonato per la volontà perversa di carpire la fine della vita dai suoi occhi.
Discutendo della questione con diversi amici mi son spesso sentito rispondere che YouTube semplicemente si sta limitando a cavalcare l’onda della notorietà, nel tentativo di aumentare la propria reputazione agli occhi di chi ormai nei confronti dello user generated content ha un atteggiamento disilluso. Ma non possiamo ridurre il tutto a questa semplice considerazione.
Le parole contenute nell’articolo non fanno altro che assecondare l’immaginario collettivo rigaurdante la questione iraniana, che si è consolidato nel popolo statunitense, così come nell’occidente in genere. Come sempre è avvenuto nella storia però, l’immaginario collettivo, specie se in relazione a guerre e a forti attriti diplomatici, sfocia in idee populiste troppo banali e pilotate per poter rispecchiare realtà ben più complesse.
Con quel post Youtube dimostra di non essere ancora in grado (così come implicitamente tutti gli altri) di saper gestire la responsabilità che la gestione di un tale servizio comporta. Proprio in uno dei miei ultimi post discutevo sull’incapacità dei contenitori di razionalizzare e valorizzare i contenuti da loro ospitati. Qui siamo di fronte allo stesso identico problema, ma reso ancor più complesso e grave, dal contesto multiculturale in cui si svolge e dall’importanza delle informazioni commentate.
La critica al Governo iraniano riguardante l’oscuramento di molti servizi web, tra i quali anche YouTube è ovviamente legittima se siamo ancora convinti che l’accrescimento di una civiltà passa per il confronto e quindi per l’informazione e la verità, ma le censure iraniane vanno comunque pesate per quello che rappresentano in un sistema politico mondiale, ovvero un sistema che sì, limita le libertà di comunicazione degli iraniani con il resto del mondo, ma che difende una struttura culturale e politica dall’attacco mediatico che gli interessi occidentali perpetrano da anni in quel Paese.
Quello che vedo io, oltre alle giuste considerazioni fatte da Mantellini, è un giornalismo professionale embedded, per usare un termine mutuato dalla storia della guerra in Iraq, che racconta una sola e discutibile versione dei fatti, che invece di essere contrastato dal citizen journalism, che proprio a proporre punti di vista alternativi dovrebbe in teoria servire, viene ulteriormente enfatizzato da realizzazioni amatoriali sparpagliate alla rinfusa, sapientemente incollate dai media istituzionali con il solo scopo di dare enfasi emotiva all’unica versione dei fatti dominante.
Spingere inoltre l’idea che il giornalismo dal basso possa essere il più autentico rende ancora più facile il gioco a chi vorrà dare il significato che meglio crede alle testimonianze che si raccolgono in rete.
L’additare come incivili i poteri che censurano, attualmente è una posizione che ognuno di noi dovrebbe sostenere conoscendone il reale valore.
Anche tralasciando i dubbi sulla situazione della libertà di espressione nel nostro Paese che dovrebbe spingerci a occuparci dei nostri problemi prima di andare a vedere cosa succede in medio oriente, dovremmo comunque imparare a vedere che nel nostro caro occidente è stata sviluppata un’arma ben più potente e subdola della censura, che porta il nome di strumentalizzazione, dalla quale dimostriamo di non saperci difendere.