Le recenti elezioni europee hanno lasciato il solito e doveroso strascico di riflessioni sulle nuove rotte politiche che il nostro continente sta intraprendendo, tutte accolte con la solita e doverosa noia, viste le scarne differenze tra gran parte delle coalizioni moderate che purtroppo sono tali non solo nel riconoscimento della necessità di un dibattito libero e democratico permanente ma anche nella difficoltà di riscontrare reali e sostanziali differenze nei contenuti programmatici.
Un bel colpo di vita (e di speranza per chi ne condivide la lotta politica) arriva dalla Svezia, in cui il Partito dei Pirati porta a casa un incredibile 7,1%.
Un risultato notevole e molto importante, visto che si vanno a toccare corde che sono a dir poco fondamentali per l’evoluzione culturale del continente e l’approccio radicale e netto rispetto all’assetto giuridico odierno che con poche e marginali differenze vige in tutta Europa.
Il Partito dei Pirati avrà due posti a sedere nel Parlamento Europeo ottenuti unicamente col supporto degli elettori svedesi. Infatti pur essendo un movimento che cerca di espandersi in tutta Europa al di fuori dei confini del regno scandinavo fa molta fatica ad emergere. In molti casi infatti il partito ha raccolto pochissimi voti in altri non è riuscito nemmeno a raccogliere le firme necessarie per candidarsi alle politiche.
Il movimento italiano ha una storia particolare. Invece di presentare la propria candidatura e aumentare il già esagerato e frammentato bouquet di partitini i pirati italiani hanno deciso di appoggiarsi al partito rappresentato e guidato da Vendola: Sinistra e Libertà.
Tra l’altro Alessandro Bottoni, portavoce e candidato per i pirati, spiega in un’intervista su Repubblica che in Italia la linea è più moderata rispetto agli alleati scandinavi. In Italia non si persegue il bando del copyright dal sistema legislativo, ma un forte ridimensionamento delle norme, che consentano di distribuire liberamente ogni tipo di opera a patto che la circolazione del contenuto avvenga senza fini di lucro. Quindi è ovvio che in questi termini si andrebbe comunque a distruggere tutto il mercato basato sul lavoro intellettuale ma si potrebbe continuare a rivendicare la paternità delle opere.
Come detto il partito svedese è il più radicale e forse quello più attinente in un presente in cui non solo la rete e il P2P, ma anche nuovi concetti e percorsi logici che stanno divenendo popolari legati all’associazione e alla rielaborazione estreme, che li si incontrano ovunque, dall’esplosione della musica elettronica costruita sui campionamenti di suoni rubati a vinili di ogni epoca fino alle funzionalità di mash up che stanno sempre più alla base dell’utilizzo quotidiano e al mondo del software libero che della contribuzione libera fa il suo fondamento.
Indubbio poi che la vicenda giudiziaria che ha visto le lobby del cinema attaccare la baia dei pirati, avvenuta proprio in un’aula di tribunale svedese, abbia contribuito enormemente tali questioni che sono sia di carattere politico che economico, ma anche ideologico, al centro dell’attenzione dell’elettorato svedese, che ha deciso di premiare la causa con il 7,1%, che per un movimento che esiste da soli 3 anni è un dato a dir poco sensazionale.
Successo di cui tutti dovremmo essere contenti, perché qui non si tratta di essere semplicemente contro o a favore della circolazione gratuita delle opere, o di essere contro o a favore dell’industria dei contenuti e dell’ingegno. Sicuramente questi sono aspetti che vengono coinvolti ma il discorso è molto ampio e comprende il futuro della nostra evoluzione culturale a cui le regole imposte inevitabilmente danno una forma, che quindi in conclusione vanno ad influenzare ogni aspetto della nostra società e della nostra quotidianità fin delle basi dei nostri processi mentali.
Alla luce di ciò è chiaro che l’argomento è di importanza fondamentale e che chi riduce tutto a mere considerazioni del sostentamento economico della produzione artistica non può pretendere che la propria sia una posizione difendibile e dignitosa. L’arte e la produzione di tutto ciò che rientra nella sfera culturale fin dalla notte dei tempi si sono adattati all’evoluzione dell’uomo e del suo pensiero, trovando al contempo sia nuovi percorsi intellettuali sia sempre diverse forme di sostentamento. Non potrebbe essere diversamente, perché il lavoro intellettuale racconta la realtà che lo circonda e ne è al contempo frutto, ma se è la cultura e chi si propone come un esponente della stessa a voler dettare le regole, si mostra soltanto la volontà di frenare i cambiamenti e l’ulteriore crescita umana al solo scopo di mantenere dei privilegi, per il semplice fatto che se chi dovrebbe rappresentare il mondo è contemporaneamente anche chi ne detta le regole ci si ritrova senza più niente da dire e da raccontare, bloccando al contempo chi vorrebbe continuare a farlo, anche in barba alle regole, perché l’evoluzione culturale e l’arte, per definizione di regole non ne hanno.