Fare un doppio click sull’iconcina di un file e far partire il relativo “riproduttore” è un’operazione ormai perfettamente naturale; istintiva oserei dire.
Eppure dietro a un gesto “innocente” come questo possono nascondersi risvolti inaspettati, legati strettamente alla natura del contenuto del file.
In precedenza abbiamo trattato l’argomento dei formati cosidetti “proprietari”, che però non ha esaurito il “filone”, lasciando aperte alcune questioni. In particolare, non era lo scopo e non era stato trattato il tema della legittimità o meno alla fruizione di un particolare contenuto. Perché non tutti i contenuti sono, appunti, utilizzabili…
Il motivo è presto detto: un file può essere stato codificato in un formato sul quale possono pendere dei brevetti, e per i quali i titolari delle proprietà intellettuali richiedono il pagamento di una licenza.
E’ il tipico caso dei file MP3, che sono coperti da diversi brevetti in mano ad alcune aziende, la più famosa delle quali è sicuramente Fraunhofer.
Si dirà: ma noi non paghiamo nessuno! Non esattamente. Il fatto è che qualcuno l’ha già fatto per noi. Forse non tutti sanno che Microsoft paga profumatamente queste società per poter includere il codec MP3 nei suoi prodotti, Windows Media Player in primis. Idem Adobe per i suoi prodotti multimediali (sì, anche per Flash!). E questo vale per diversi altri codec esistenti (le varie versioni di MPEG, ad esempio).
Eppure si tratta di formati “standard”! Verissimo, ma non sta scritto da nessuna parte che uno standard non debba prevedere nessun pagamento di licenze. Gli standard sono realizzati per definire in maniera precisa il formato dei dati e gli algoritmi che li manipolano, proprio per evitare che ognuno reinventi la ruota a modo suo, generando una caterva di modelli diversi e spesso incompatibili. In poche parole, per favorire l’interoperabilità.
In quanto tale uno standard è ovviamente aperto: il formato è ben definito e accessibile praticamente da tutti, anche se capita spesso che per poter scaricare il suo draft (in PDF) sia necessario pagare una certa cifra. E’ anche naturale che sia così, perché gli standard sono il frutto di studi e riunioni di appositi comitati, per cui vengono sostenute delle spese.
Quindi paradossalmente potremmo avere dei formati aperti, ma non liberi, in quanto pendono su di essi delle licenze da pagare, e formati chiusi liberamente fruibili senza pagare alcunché (perché magari il software che li manipola non viene fatto pagare).
Per far capire meglio, faccio un altro esempio: il formato JPEG. Chi ha avuto modo di studiarlo e/o lavorarci sa che esistono due codifiche per la compressione dei dati prodotti dalla trasformata DCT (e dalla successiva quantizzazione dei coefficienti): quella di Huffman e quella aritmentica.
Standard alla mano potremmo utilizzare indifferentemente l’una o l’altra. In realtà soltanto la prima è del tutto libera, in quanto non pendono su di essa licenze, mentre sulla seconda alcune società hanno in mano dei brevetti e non ne hanno rilasciato l’utilizzo per questo standard.
Quindi i file che troviamo in giro usano praticamente tutti la codifica di Huffman anziché quella aritmetica, che avrebbe consentito di risparmiare mediamente il 10% di spazio (in quanto più efficiente della prima).
Al contrario, per il JPEG 2000 tutte le aziende che possiedono brevetti su qualcuno degli algoritmi utilizzati hanno acconsentito a rilasciarne la fruizione liberamente (ma soltanto per file di questo tipo; quindi non si possono utilizzare gli stessi algoritmi per altri formati).
Tornando all’inizio dell’articolo, il solo fatto di possedere un contenuto e il relativo player, non ci mette automaticamente dalla parte della legalità: dobbiamo essere sicuri che, nel caso in cui siano previste, i proprietari delle licenze siano stati pagati o abbiano acconsentito al loro utilizzo.
Ovviamente nei paesi in cui i brevetti non valgono si può fare l’uso che si vuole sia dei contenuti che dei player (questi ultimi a patto che non siano coperti dal diritto d’autore), anche se capita non di rado di trovare delle persone che, per motivi ideologici, rifiutano a prescindere di fruirne.
Per loro gli unici formati “degni” sono quelli assolutamente privi di brevetti, che però sono pochi e poco supportati, anche se la qualità dei file ottenuti è buona. Ogg Vorbis per l’audio lossy, FLAC per quello lossless, PNG per le immagini lossless sono i più noti e utilizzati in questo caso.
Il fatto che siano pochi e poco supportati non deve stupire. Primo perché quelli più famosi e non liberi sono stati pionieri e, quindi, hanno creato e dominato il mercato. Secondo perché, come dicevo, dietro alla creazione di standard e/o formati c’è un lungo lavoro di ricerca e relative spese di cui in genere si fanno carico aziende private, che giustamente vorranno poi rientrare dagli investimenti…