La storia dei sintetizzatori musicali è una delle più interessanti per chi gli appassionati di musica e di produzione musicale e la loro evoluzione ha fatto la storia della musica, soprattutto dagli anni 50 in poi, quando i primi sintetizzatori analogici iniziarono ad essere presentati.
Ci troviamo essenzialmente agli albori di un’alleanza che da quel momento in avanti avrebbe cambiato il modo di lavorare di musicisti e produttori: l’alleanza tra la musica e la tecnologia.
Benché i sintetizzatori analogici abbiano avuto i loro momenti di gloria specie con il sintetizzatore modulare Moog, ideato dall’americano Robert Arthur Moog, che tra i primi intravide le potenzialità di un sistema di produzione audio elettronico proponendo addirittura un sintetizzatore modulare (cioè componibile con una serie di moduli a seconda delle richieste degli artisti), un enorme impulso nella produzione di musica attraverso i sintetizzatori arrivò solo negli anni 70, con l’avvento dei sintetizzatori digitali.
Dopo aver già trattato del glorioso Fairlight CMI, oggi parliamo di un suo altrettanto leggendario omologo nonché competitor: il Synclavier.
Il primo Synclavier System, introdotto nel 1975, era l’evoluzione del progetto Dartmouth Digital Synthesizer sviluppato da Cameron Jones, Sydney Alonso e da Jon Appleton, professore di musica del Dartmouth College. L’idea che guidò lo sviluppo del Synclavier fu quella di progettare un sistema di produzione digitale della musica che potesse puntare sulla praticità d’uso e sulla sua portabilità come punti di forza.
Tali obiettivi furono pienamente raggiunti e il Synclavier, infatti, era in grado di immagazzinare i suoni prodotti in grossi dischi magnetici, caratteristica che consentiva al musicista di registrare un’intera composizione in alta qualità senza doversi appoggiare a strumenti esterni. Si trattava di un vantaggio notevole se consideriamo che molti sintetizzatori solo pochi anni prima avevano dimensioni pari a quelle di una stanza. Conseguenza diretta della sua portabilità fu la sua adozione anche in occasione di diverse esibizioni live.
Synclavier, tuttavia, non era solo sinonimo di compattezza, ma anche di una piattaforma hardware/software integrata, altamente parallela, di altissima qualità e semplice da utilizzare. La versione PSMT, la più avanzata del Synclavier, tra le sue specifiche vanta un campionatore a 16 bit all’avanguardia, con frequenza di campionamento variabile da 1 kHz a 100 kHz con passi da 0.1 kHz supportato in output ben 64 DAC a 100 kHz, ognuno dotato del suo controllo analogico del volume, per un totale di 32 canali stereo.
La possibilità di variare la frequenza di campionamento consentiva di risparmiare spazio durante la registrazione di suoni dalla bassa frequenza e di ottenere la massima qualità possibile per i suoni ad alta frequenza. Il corpo del Synclavier II, versione presentata nel corso dei primi anni 80 che introdusse la possibilità di eseguire hard disk recording di 16 tracce a 50 kHz, è caratterizzato da una tastiera e da un pannello di controllo dal quale è possibile definire con precisione la timbrica della nota suonata.
Contrariamente ai sistemi analogici che avevano una manopola per ogni funzione, il Synclavier ha una sola manopola posta in alto a sinistra, dalla quale era possibile variare tutti i parametri, affiancata da un display digitale che mostra istantaneamente le modifiche effettuate. La parte superiore del Synclavier II è composta da ben quattro pulsantiere, una per ogni gruppo di funzionalità: registrazione digitale della traccia, generatori di inviluppo e controllo armonico, effetti in real-time e memorizzazione / ripristino di timbri e sequenze di note.
Il sintetizzatore digitale del Synclavier integra al suo interno un vero e proprio computer denominato New England Digital 16 bit ABLE, caratterizzato da un’architettura molto efficiente che gli consentiva di eseguire operazioni in parallelo su un singolo microprocessore. La sua programmazione software avveniva attraverso un linguaggio di programmazione proprietario ad alto livello chiamato Scientific XPL, che era compilato proprio come accade con i moderni linguaggi di programmazione, dando vita a moduli software installabili senza la necessità di riprogrammare il sistema operativo.
Si trattava di uno dei primissimi computer al mondo ad essere progettati per lavorare con software compilato e la sua efficienza computazionale era tale che la stessa NASA ha utilizzato questo microprocessore in alcune missioni spaziali, evento a seguito del quale il dettaglio delle sue specifiche tecniche non fu mai divulgato al di fuori degli Stati Uniti.
Il Synclavier non aveva una sua vera e propria linea di produzione, ma era assemblato completamente a mano. Tale aggravio, aggiunto a quello delle componenti elettroniche utilizzate di altissima qualità, portava il prezzo del Synclavier a lievitare fino ad un massimo di $ 500.000, con un prezzo medio compreso tra i $ 200.000 ed i $ 300.000. Non si trattava, pertanto, di un prodotto economico, ma, nonostante tutto, le sue indubbie qualità tecniche e funzionali ne decretarono un grandissimo successo commerciale tra i produttori e i compositori.
Tra gli artisti più appassionati ed affezionati al Synclavier non possiamo non citare il grandissimo Frank Zappa che compose con un Synclavier II l’album strumentale Jazz From Hell nel 1986, grazie al quale vinse un Grammy Award due anni più tardi. Zappa, inoltre, continuò ad usare questo strumento anche negli album successivi. Anche Michael Jackson nel suo grandissimo successo Thriller del 1982 fece ampio uso del Synclavier II, così come i primi Depeche Mode con Construction Time Again (1983), il giovane George Michael nell’album Faith (1987) ed il mitico Mark Knopfler negli album The Princess Bride (1987) e Last exit to Brooklyn (1989).
La musica elettronica ha una lunga tradizione anche nelle produzioni cinematografiche e in questo contesto segnaliamo Alan Silvestri, noto compositore spesso al fianco del regista vincitore di premi Oscar Robert Zemeckis, e la sua brillante performance nella colonna sonora della trilogia di Ritorno Al Futuro. Anche Howard Shore, compositore hollywoodiano di lungo corso divenuto recentemente famoso grazie alle colonne sonore della saga Il Signore Degli Anelli, ha utilizzato per le sue produzioni degli anni 80 un sintetizzatore Synclavier.