La crisi del settore auto parte da lontano, da molto prima che il sistema economico mondiale si inceppasse catapultando l’umanità nella recessione che conosciamo tutti. In un settore merceologico che ha già saturato il mercato da decenni, con le difficoltà di approvvigionamento di petrolio che fanno impennare i prezzi, con economie di scala sempre più difficili da sostenere per via della sempre crescente complessità di progettazione, unite ai costi da sostenere per le royalty di sempre più numerosi brevetti di cui si compone un’auto, una grande fetta di costruttori di auto aveva imboccato il tunnel della catastrofe già molto tempo prima che si iniziasse a parlare di crisi globale.
Investire e credere di questi tempi in questo settore è da pazzi. Tale follia però talvolta si concretizza in successi economici su cui, a parte i pazzi appunto, nessuno avrebbe mai puntato. L’acquisizione del gruppo VAG (Volkswagen Audi Group), che sta battagliando per diventare il più grande produtto di auto al mondo, dalla Porsche e il suo insignificante (nel confronto) ritmo di immatricolazione.
Altro miracolo, ancora più incredibile, è quello di Fiat che data per spacciata soltanto dieci anni fa, con GM disposta a sborsare circa un miliardo e mezzo di dollari pur di liberarsene, ora sta trattando per acquistare uno dei tre colossi americani dell’auto (Chrysler) e l’ultimo vero avamposto di GM in Europa: Opel.
I risultati del primo quadrimestre del gruppo Fiat decisamente in rosso non fanno paura al gruppo torinese, che non ritocca verso il basso la previsione in attivo per la fine del 2009. Inoltre i dati diffusi dall’ACEA sulle immatricolazioni in Europa nel mese di marzo, fanno capire che le perdite economiche non derivano dal settore auto: a fronte di una generale contrazione del mercato del 9%, Fiat ha registrato un +14%.
Di questi tempi siamo abituati a vedere grandi numeri, solitamente col segno meno davanti, perciò è necessario forse rimarcare quanto sia significativa una crescita a due cifre. Vero è che il mercato è “drogato” da incentivi statali, ma è pur sempre un dato che si inserisce in un mercato ancora in forte flessione.
Anche in tempi di recessione, il comparto auto di Fiat si dimostra una rara realtà capace di reagire alle crisi (globale e di settore), mostrando non solo una forza derivante dalla disponibilità di liquidi da investire ma anche dal punto di vista tecnologico.
L’accordo siglato tra Chrysler e Fiat (commentato più dettagliatamente in un altro post) comprende, tra le altre cose, la cessione del 35% del capitale azionario dell’azienda statunitense in cambio di tecnologia. Fiat non sborserà un centesimo per l’acquisizione ma concederà al gruppo americano l’utilizzo di progetti e brevetti della compagnia torinese.
Non soddisfatta, la Fiat ora si mostra interessata anche a Opel che, ricordo, appartiene alla General Motors. Un matrimonio che parrebbe quasi una naturale prosecuzione di una partnership tecnologica ereditata dalla defunta alleanza tra Torino e Detroit. Gran parte delle motorizzazioni diesel e il pianale dell’attuale Opel Corsa sono “made in Fiat”.
Se Chrysler darà al gruppo torinese, oltre ad una rete assistenza radicata nel territorio americano l’opportunità di spalmare i costi di sviluppo di nuovi pianali e meccaniche di classe “premium” (di cui sia Alfa Romeo e Chrysler hanno un gran bisogno), con l’acquisizione di Opel, Fiat andrebbe a abbattere l’impatto dei costi di progettazione nei segmenti C, B e A (quelli a cui appartengono Bravo, Punto e Panda, per intenderci).
I benefici sarebbero molteplici: innanzitutto non sarebbe più necessario cercare partner esterni al gruppo con i quali condividere tecnologie e stabilimenti, così come avviene ad esempio per la nuova Ford Ka, costruita sul pianale di Panda e 500, con cui condivide anche i motori e quasi tutta la componentistica nascosta alla vista.
In questo modo si potrebbero tracciare roadmap più definite, senza dipendere da accordi commerciali esterni al gruppo per lo sviluppo di nuove piattaforme, evitando poi di mutuare tecnologie ai diretti concorrenti.
Salendo di segmento e di prezzo inoltre, si abbasserebbero in proporzione i costi di sviluppo delle auto di segmento C, a cui appartengono Bravo e Delta, aumentando sia il guadagno netto per ogni auto immatricolata, ma anche le possibilità di differenziazione tra i vari modelli del gruppo, che ad oggi, nonostante i riscontri delle vendite positivi, risentono sicuramente di una parentela fin troppo stretta.