Vestire i panni del cavaliere senza macchia e senza paura, lanciarsi in avventurosi salvataggi di donzelle, o piuttosto sfidare l’organizzazione malefica di turno, insinuarsi nella corporazione per rubarne i progetti, o, perché no, tamponare l’invasione aliena e, quasi sempre, salvare il mondo.
A questo erano perlopiù abituati i videogiocatori negli anni ’80 quando, armati di pazienza e spirito di sacrificio, inserivano il floppy nel lettore o digitavano il fatidico comando “RUN” sulla tastiera di un breadbox marroncino.
Fino a quando, un bel giorno, quel geniaccio di Peter Molyneux decise che dopotutto anche il lavoro quotidiano di un dio si può emulare su un computer, e ne fece un videogioco.
È questa, in estrema sintesi, la genesi di Populous, uno dei giochi più straordinari, innovativi e memorabili degli anni ’80, origine di una gloriosa serie sequel e franchise che a loro volta hanno rappresentato delle pietre miliari nella storia del videogioco.
Rilasciato nel 1989 per Amiga, ST e PC, quindi portato sulla maggioranza dei personal e delle console esistenti, Populous è in effetti un titolo in grado di ridefinire il concetto di gioco strategico in tempo reale, al punto da diventare capostipite di una categoria a parte, definita “god games”, che ha scritto capitoli luminosissimi nell’industria videoludica di ieri e di oggi.
Dismesse armatura, spada, pistola laser, mitragliatrice e smoking, al giocatore è richiesto di abbracciare una prospettiva completamente nuova: prendersi la responsabilità di un popolo di fedeli, assisterne l’espansione e l’evoluzione, coltivarne la fede – altrimenti addio superpoteri, guidarli in battaglia contro civiltà avverse, adoratrici di altri dei.
Nel capolavoro della Bullfrog il popolo è in effetti nient’altro che uno strumento – alla stregua di mitra, spade etc. – nelle mani del protagonista, per combattere un dio avversario, controllato dal computer o da un secondo giocatore. Uno strumento però dinamico, che va gestito, premiato, assistito, potenziato: un cambio di paradigma significativo rispetto a tutto quel che c’era stato prima nel mondo videoludico.
Dal “semplice” modellare il terreno – funzionalità implementata da Molyneux quando decise che non aveva voglia di creare decine di mappe personalizzate – fino allo scatenare catastrofi, creare vulcani, allagare insediamenti nemici, il giocatore dispone di un discreto armamentario di poteri divini, con i quali può assistere il suo popolo verso il confronto finale contro la fazione avversa.
I terreni di conquista sono pressoché infiniti, il che aggiunge longevità ad un gioco già di per sé estremamente coinvolgente – una partita a Populous può tenervi per ore incollati allo schermo anche oggi.
A dimostrazione di quanto geniale sia stata l’invenzione alla base di Populous – da cui discendono altri titoli del genere fra cui Powermonger e il più recente Black&White – il suo paradigma fondamentale, rappresenta oggi una colonna portante dell’industria videoludica, la radice di un genere ancora ricco di prospettive.
Alla luce di tutto ciò, credo ci troveremo in molti d’accordo nel concludere che, sull’altare del genio di Molyneux, è ben valso il sacrificio di qualche sufficienza in latino.