Sono entrato nel mondo Mac nel 2005 dopo aver ignorato per anni tutti i siti dedicati alla mela: non ne ho mai potuto soffrire l’approccio fideistico, che non riesco a giustificare nemmeno se riferito a questioni esistenziali.
Da utente Windows, non ho mai preso parte, né tantomeno capito, i colossali flame che dall’inizio dei tempi si scatenano fra sostenitori e detrattori della piattaforma. In generale mi è sempre sembrata molto mal riposta la passione con cui queste due categorie di soggetti si scornano rifiutando a priori una sintesi.
Dico di più: trovo questi dibattiti totalmente futili e mi pare demenziale il loro eterno ripetersi al solo pronunciare la parola Mac, al di fuori dei contenitori “isolati” che ben conosciamo. Mi preoccupa tanto più perché ci vedo chiaramente il grande disegno della macchina del marketing di Cupertino, di cui i tanti detrattori sono vittima quanto lo sono i fanboy della mela.
Scatenando una battaglia culturale contro il PC, che va avanti fin dal magnifico spot del Superbowl, Apple ha creato una situazione in cui ogni utente è chiamato a prendere una posizione, pro o contro. In questa trappola cadono tutti, fanboy e “reverse fanboy” (un’ottima formula usata da Jacopo), altrimenti detti detrattori a priori: gente che dai form di un forum così come dalle colonne di giornali e siti web, coglie ogni occasione per tuonare non contro il marchio in sé, ma contro i suoi utenti, rei – secondo la teoria più in voga ai tempi del MacIntel – di aver speso soldi in più per avere le stesse funzionalità, anzi meno. Ci è caduta persino Microsoft, con una serie di spot di discutibile valore tecnico e contenutistico.
Dietro al quotidiano ripetersi di questo paradigma presso testate di qualche fama – insulto sistematico o difesa d’ufficio – mi sembra ormai chiaro si nasconda null’altro che la volontà di raccattare qualche visita e qualche commento da parte di autori a corto di argomenti (tipo Nick Farrell di The Inquirer). Un gioco che squalifica ulteriormente i visitatori che vi prendono parte, ogni volta come se fosse la prima volta.
D’altronde lo stesso attendere, da parte di certi lettori, la sola scrittura della parola Apple – non parliamo nemmeno di quando si riscontra un difetto hardware – per partire con le solite prediche, a cui puntuali rispondono i fanbuoi con altrettante posizioni preconcette, tratteggia quello che secondo me è lo scenario più deprimente del panorama informatico moderno. Sarei più contento di sapere che un interesse economico muove gli attori di questo teatrino: tutto suonerebbe perlomeno più sensato.
Di conseguenza è piuttosto difficile, anche per chi non sia animato da preconcetti, parlare di Apple sapendo che, indipendentemente da quale sia l’argomento trattato, salteranno fuori irrimediabilmente gli stessi identici commenti, che costringeranno anche chi ha qualcosa di interessante da dire in una nicchia, fino a scoraggiarlo del tutto dall’intervenire.
I un mondo ideale, ciascuno dovrebbe diffidare dagli slogan, comprare quel che più gli piace e lasciar campare chi fa scelte diverse. Davanti ad Apple invece, l’indifferenza per molti non è un’opzione, il che genera due tipi di conseguenza: coloro che vorrebbero vederla ridotta in macerie, parlandone con astio, la rendono più simpatica; di converso, coloro che la lodano aprioristicamente, ne fanno un culto, da cui una persona con un po’ di sale in zucca istintivamente diffida.
Ma soprattutto, che se ne parli bene o male, se ne parla, ed è dopotutto questo il meglio che gli strateghi di Cupertino possano chiedere.