Questo post non è una disquisizione sulla situazione economica delle aziende che operano in rete, su cui per altro ci sarebbe molto da dire, in un panorama di start up in costante perdita tenute a galla e gestite da pochi grandi concorrenti.
Quella che mi accingo a scrivere è una riflessione su come la rete sia alla deriva rispetto alle aspettative di qualche anno fa, nella più totale indifferenza da parte di quelli che una volta erano considerati i suoi principali attori: gli utenti.
La necessità o meno di una regolamentazione legislativa del web è stata sempre affrontata fin’ora per capire se fosse giusto o meno e in che misura, difendere la società, l’ordine costituito, dal libero scambio di informazioni attraverso la rete.
Quando si parla di privacy però in qualche modo i ruoli si invertono e per una volta gli utenti sembrerebbero essere parte lesa. In questo eterno braccio di ferro fatto di interessi, tra grandi aziende, istituzioni e il singolo individuo, in cui le alleanze possono persino cambiare a seconda del conteso, c’è solo un unico punto fermo sempre lampante.
L’utente medio di internet ha bisogno di essere difeso prima di tutto da sé stesso, perché è l’incoscienza di ognuno la causa della fine del dialogo e dello scambio attraverso la rete.
L’incoscienza che dilaga nell’utilizzo del web non è soltanto legata al disinteresse verso alcune tematiche, come la libertà di informazione e la riservatezza, perché questo va sommato ad un fenomeno per forza presente nell’utilizzo quotidiano degli spazi che la rete ci mette a disposizione: l’abitudine.
L’abitudine è un potente strumento che se ben usato permette di convincere una massa di persone di qualsiasi cosa, portandola a comportamenti che poco tempo prima sarebbero stati considerati irrazionali.
Il meccanismo del tiro alla fune tra fornitori di servizi e gli utilizzatori, per stabilire cosa è tollerabile e cosa no ha delineato delle trincee fatte di principi e sensibilità, che però vedono un costante e lento ripiegare da parte degli utilizzatori.
L’immediatezza della fruizione e della pubblicazione di contenuti, nell’utilizzo dei servizi che popolano la rete favoriscono un clima informale e discorsivo che contrasta sempre e continuamente con le condizioni di utilizzo dei servizi.
Visto da fuori, il popolo della rete, sembra fatto di gente che non scarica musica e film illegalmente, che non modifica le console le centraline dell’auto, che non fuma spinelli, che non fa sesso e non lo cerca sul web, che non ha generalmente preferenze politiche.
Sempre visti da fuori sembra che compriamo contenuti a scatola chiusa solo perché qualcuno, senza alcuna possibilità di condividerli con noi, ne ha scritto il nome da qualche parte. Siamo liberi di scegliere cosa comprare ma non ci sogneremmo mai di rielaborarlo (e quindi di creare) o di fruirne insieme ad un amico.
In questa gigantesca manifestazione di schizofrenia a norma di legge, stiamo lentamente rinunciando alla rete e alle sue possibilità. Se è vero che i rapporti nati e intrattenuti attraverso la rete risultano avere meno importanza rispetto a quelli “alla vecchia maniera” (o AFK se preferite) è anche perché ci siamo abituati a tollerare e a imporci limiti che impediscono un rapporto realmente sincero e quindi intimo.
Un altro effetto collaterale è il crescente disinteresse per le sorti di quello che ogni giorno pubblichiamo sul web.
All’interno di quegli ambiti che implicano una comunicazione paritaria e multi-direzionale come forum e social network, le condizioni di utilizzo sono sempre più inquietanti dal punto di vista della propria privacy e spesso il filtraggio e la moderazione di ciò che viene pubblicato è del tutto arbitrario, persino al di sopra delle regole contrattuali. L’accettazione implicita da parte degli utenti, che pur lamentandosene debolmente, continuano ad usufruire di tali servizi, passa non soltanto per un lento abituarsi ad una cronica mancanza di riguardi nei propri confronti, ma anche per la futilità crescente degli argomenti trattati, conseguenza del fatto che non ci esponiamo più per quello che realmente facciamo e siamo.
A volerli cercare, di non-luoghi “liberi” se ne trovano ancora ma, senza voler tentare qui di sentenziare dove vada apposto il giusto limite per la libertà di espressione, è in qualche modo assurdo che in rete, sincerità stia velocemente diventando sinonimo di illegalità.
Non mi stupisce il proliferare in rete di messaggi che suonano tanto come “W V.E.R.D.I.”, “le fragole sono mature” o “alpha 44772”.