L’incontro fra elettronica e musica rappresenta un punto nodale della storia della tecnologia e dell’arte: si tratta di un meticciamento che non sempre ha prodotto esiti entusiasmanti dal punto di vista qualitativo, ma ha gettato le basi per l’apertura di una nuova epoca nella storia della musica.
Vangelis, Brian Eno, Robert Fripp, Peter Gabriel, Keith Emerson di ELP, i Pink Floyd, sono solo alcuni degli artisti – appartenenti a pieno titolo all’olimpo musicale – che nell’elettronica hanno trovato un moltiplicatore per la loro creatività.
In questo nuovo appuntamento settimanale della rubrica dedicata alla belle epoque tecnologica, muoveremo dunque alcuni passi verso i confini del mondo informatico, lì dove è possibile perfino gettare uno sguardo nel mondo dell’Arte con la A maiuscola.
Camminando in questa direzione, incontriamo sulla nostra strada un oggetto che lo stesso Robert Moog non ha esitato a definire rivoluzionario: il Fairlight CMI (Computer Music Instrument).
Sogno erotico di centinaia di musicisti dilettanti negli anni ’80, concepito nel 1979 dagli australiani Peter Vogel e Kim Ryrie, il CMI è entrato, nel breve volgere di un quinquennio, nei più prestigiosi studi di produzione del mondo, lasciando il suo segno sull’opera di artisti del calibro di Herbie Hancock, Peter Gabriel e i Genesis, gli Alan Parsons Project, Kate Bush, Ryuchi Sakamoto, gli U2.
Dal punto di vista delle funzionalità, il Fairlight CMI è un sintetizzatore computerizzato, capace anche di catturare sample dal “mondo reale” e usarli, eventualmente manipolandoli, come veri e propri strumenti musicali. La possibilità data di “creare lo strumento” prima che la melodia, aprì un universo di sperimentazioni per i musicisti che, a partire da Peter Gabriel, si cimentarono sempre più numerosi nel “suonare” lo scoppio di una bottiglia di latte, il ticchettio di una bacchetta su un mattone, la propria voce, un colpo di tosse…
Le conseguenze dell’introduzione del sampler con la prima versione del Fairlight CMI, furono tali da indurre l’establishment ad una poderosa levata di scudi, ingaggiando una battaglia culturale contro la musica elettronica. A distanza di poco tempo tuttavia, fu chiaro che le capacità di campionamento del primo CMI, mentre rappresentavano l’apertura di un nuovo campo di sperimentazione musicale, non erano sufficienti per una resa ottimale degli strumenti musicali meccanici.
La seconda incarnazione del Fairlight CMI, il Series II, introdusse un’ulteriore, straordinaria innovazione che, questa sì, rese probabilmente più facile la vita dei dilettanti: il sequencer. Se non il primo in ordine di apparizione, Page R del Series II rappresenta probabilmente la migliore incarnazione di sequencer vista fino ad allora, con funzionalità divenute standard per i moderni sequencer hardware/software.
L’hardware che motorizzava questo miracolo della tecnologia, era per l’epoca mirabolante: un doppio processore Motorola 6800, una memoria di sistema pari a 64KB più 16KB per ciascuna delle 8 voci in polifonia. Il campionamento avveniva a una frequenza di 16Khz per 8bit, che divennero 44Khz – 16bit nella terza serie del dispositivo (munito di una scheda dedicata con CPU 68000 per la manipolazione delle forme d’onda).
Lo storage di massa, necessario per lo stoccaggio di sample e programmi per il Page R, era affidato a due rumorosissime unità floppy da 8″, capaci di contenere 500KB ciascuna.
Uno dei “trademark” del dispositivo, poco affidabile e quindi rimpiazzata con un touchpad negli ultimi modelli, era un’interfaccia touchscreen con pennino, che consentiva la navigazione dei menu, la gestione dei file e le operazioni di manipolazione delle onde.
L’impatto delle tecnologie introdotte da Fairlight sul mercato fu talmente ampio e profondo, da scatenare una concorrenza agguerritissima e un generale abbassamento dei prezzi, che pose progressivamente la serie CMI fuori dal mercato, spingendo Fairlight verso una nicchia nel mondo dell’equipaggiamento musicale digitale di fascia alta, che tuttora occupa.
Alla deriva di Fairlight non sono peraltro estranei il Macintosh e lo spesso citato Atari ST, che molto successo ottenne verso la fine degli anni ’80, presso studi di produzione di mezzo mondo e numerosissimi musicisti (compreso il nostro Franco Battiato).
Figlio di un’epoca pioneristica, Fairlight CMI rimane oggi un introvabile oggetto di culto per collezionisti – con prezzi da capogiro – mentre, dal punto di vista professionale, è ormai consegnato alla sfera del vintage a far compagnia al Moog, al Synclavier e a tante altre “diavolerie” fatte legno, di ferro, transistor e valvole, che il computer ha troppo spesso e forse troppo velocemente, spinto in cantina.
Le rivoluzioni che ha portato rimangono una colonna portante nella storia della musica nonché il fulcro di una produzione artistica qualitativamente straordinaria e quantitativamente rilevante. Non prendetevela con lui se ha prodotto, negli anni, l’avvicinamento alla tastiera di gente che avrebbe fatto meglio a scegliersi un altro mestiere: come tutti gli strumenti, più che deprecarne l’invenzione, conviene evidenziarne le potenzialità e sperare che finiscano al servizio del vero talento.