In questa nuova puntata della sua rubrica settimanale, Eleonora Presani ci racconta un altro pezzetto del suo affascinante lavoro nel campo delle astroparticelle, citando tra l’altro un esperimento cui partecipa, nominato fra i Top 7 al mondo da Science Daily [ndr].
… dovremo cominciare a fare della scienza con ciò che sta fuori!
Qualche settimana fa ho scritto un post sugli scopi scientifici dell’LHC (Large Hadron Collider) al CERN. Come avevo anticipato, i quattro esperimenti dell’LHC risponderanno probabilmente a molte domande, ma ne riapriranno altrettante.
A quel punto si potrà ricominciare e costruire un anello ancora più grande e con un’energia ancora maggiore. Presto o tardi, però, si arriverà ad un limite fisico di spazio e di energia raggiungibili sulla Terra. Cosa fare? Smetteremo di cercare? Non credo proprio.
Ma perché continuare a spendere soldi ed energie costruendo acceleratori sempre più grandi quando basta alzare la punta del naso per avere a propria disposizione degli acceleratori con potenze che non potremmo mai raggiungere su scala umana? Siamo circondati da quelli che vengono chiamati “acceleratori celesti”, che accelerano particelle ad energie altissime che vengono poi sparate verso la Terra pronte per essere rivelate e studiate dall’uomo.
La scienza che si prefigge di studiare questi fenomeni si chiama “fisica delle astroparticelle ” ed è la fusione tra la fisica delle particelle, come viene studiata al CERN e l’astrofisica o la cosmologia. Questa branca della fisica è relativamente nuova, in quanto è da poco tempo che la tecnologia umana ci permette di studiare particelle diverse dalla luce ottica proveniente dalle stelle. L’Italia è da sempre parte attiva di questa ricerca, e fa parte della grande organizzazione europea per la ricerca delle astroparticelle: ASPERA .
Le domande a cui l’uomo spera di rispondere tramite le astroparticelle sono di fondamentale importanza e vanno dall’aspetto più cosmologico, come la comprensione dell’origine dell’Universo alla fisica più fondamentale, come la natura della forza gravitazionale, fino a domande di tipo più “pratico”, come la formazione delle stelle e la composizione dei raggi cosmici.
È proprio dallo studio di questi ultimi che la fisica delle astroparticelle ha cominciato ad assumere importanza. Da più di un secolo ormai si conosce l’esistenza di queste particelle provenienti dal cosmo. Sono particelle di varia natura, in prevalenza “muoni” (i fratelli più massicci degli elettroni) che piovono in grande quantità sulla Terra (circa 100 particelle per metro quadro al secondo) e che portano con sé informazioni sugli oggetti più esotici da cui sono stati generati, come supernovae, stelle pulsar, galassie lontane e chi più ne ha più ne metta. Gli esperimenti scientifici che studiano queste particelle sono sorti come funghi negli ultimi 30 anni, e vanno da missioni satellitari, a esperimenti su base terrestre o su palloni aerostatici.
Una delle particelle di origine cosmica di maggiore interesse scientifico è il neutrino. I neutrini sono particelle simili agli elettroni, ma privi di carica elettrica e quasi privi di massa. Essendo neutri e così piccoli, hanno la caratteristica di interagire pochissimo con la materia che incontrano, ed è proprio questo a renderli i messaggeri ideali per le informazioni che l’Universo può comunicare al fisico delle astroparticelle.
Infatti se un neutrino viene creato dall’esplosione di una stella lontana, o dal centro di una galassia ancora più lontana, viaggerà lungo l’universo indisturbato, attraversando campi magnetici, nubi e agglomerati di materia, passandoci attraverso come se niente fosse, fino a raggiungere la Terra, dove noi abbiamo la possibilità di rivelarlo, studiandone energia e proprietà, una firma indiscutibile dell’evento che lo ha creato.
L’astronomia a neutrini è ancora in un viaggio in salita, e finora ci sono stati pochissimi eventi effettivamente rivelati. Attualmente lo sforzo maggiore nella ricerca di neutrini cosmici viene fatto da una parte dagli Stati Uniti, con l’esperimento IceCube , situato nel Polo Sud, e dall’altra da una collaborazione Europea, che raccoglie la maggior parte dei paesi europei e che utilizza come base gli abissi del Mar Mediterraneo. Tre esperimenti sono in fase di costruzione o già operativi nelle acque del nostro mare, uno in Francia (ANTARES ) che è stato completato nel maggio 2009 ed è attualmente operativo, uno in Italia (NEMO) e uno in Grecia (NESTOR).
Questi esperimenti utilizzano un particolare effetto, chiamato “radiazione Cherenkov” per rivelare i muoni generati dall’interazione dei neutrini cosmici con l’acqua del mare che circonda il rivelatore. Per aumentare l’efficienza di rivelazione questi telescopi sottomarini devono coprire il volume più grande possibile. Per questo i tre esperimenti sopracitati non sono che dei prototipi per quello che sarà il vero progetto europeo per la rivelazione dei neutrini astronomici, chiamato KM3NeT, che verrà collocato o in Italia o in Grecia.
Io ho la fortuna di far parte di due collaborazioni, quella di ANTARES e quella di KM3NeT. È una posizione molto vantaggiosa, in quanto mi permette di analizzare dati reali raccolti da ANTARES madi impostare le mie analisi con uno sguardo più ampio, in modo che potranno venir utilizzate anche quando KM3NeT sarà funzionante. Il progetto è molto ambizioso, richiede molti fondi e molti studi, per cui non si prevede di poter cominciare la costruzione prima del 2012.
KM3NeT però, è già al centro dell’interesse di tutta la comunità scientifica, che non vede l’ora di scoprire cosa questo progetto potrà raccontarci sulla natura dell’Universo, e forse per questo da pochi mesi è stato inserito nella top list dei “Magnifici 7” delle astroparticelle!