Abbiamo già affrontato in diversi appuntamenti della nostra rubrica il tema della diversità del mercato giapponese. Un mercato estremamente eterogeneo, con domanda ed offerta differenti da quelle che sono le abitudini commerciali dei Paesi occidentali.
Negli decennio compreso tra la metà degli anni ’80 e ‘90 la maggiore frammentazione del settore e i costi decisamente minori per produrre videogiochi hanno consentito a società, solitamente estranee all’industry, di poter ritagliarsi un proprio spazio o almeno di provarci.Una di queste è Casio. Sicuramente ricorderete questo nome per orologi digitali (molto in voga fino a un paio di lustri fa) o calcolatrici scientifiche.
Ma quanti di voi sanno che ha prodotto anche una console?
In realtà ne ha rilasciate più di una, noi quest’oggi ci occuperemo della prima uscita.
Siamo nella terza generazione, la prima “moderna” se consideriamo solamente i periodi contraddistinti dall’intrattenimento su console con volumi di vendita tali da definire l’industria dei videogiochi un mercato di massa.
I produttori si stavano ancora riprendendo dalle ferite della crisi dell’83-84 che colpì soprattutto gli Stati Uniti e per farlo investirono molto nella creatività e nel talento dei propri sviluppatori e progettisti; sì perché uno dei motivi del collasso industriale fu proprio la raggiunta saturazione della domanda, alla quale venivano proposti molti giochi dal concept sterile e ritrito.
Questa situazione non sarebbe più dovuta succedere.
E così arriviamo alla fine del 1983, più precisamente in ottobre quando la divisione giapponese della Casio decide di lanciare il PV-1000 per il mercato interno.
Le caratteristiche tecniche erano le seguenti:
- CPU: Nec D780C-1 (Z80A compatibile) a 3.579 MHz
- Coprocessore: D65010G031 (dedicato alla elaborazione audio e video)
- RAM: 2 KB + 1 KB dedicato alla generazione dei caratteri
- Video: risoluzione 256*192 con palette da 8 colori
- Audio: stereo
- Supporto: cartuccia
- Uscite: A/V output, 2 slot per i controller (1 joystick venduto insieme alla console)
L’obiettivo era quello di competere con il FamiCom (il NES nipponico) ed il Sega SG-1000; il prezzo di lancio fu stabilito in 14800 yen, la stessa identica cifra decisa per la console Nintendo.
La vero differenza rispetto a quest’ultima, al di là delle specifiche inferiori, e che non fece decollare il progetto fu la mancanza di titoli di forte richiamo.
Ad oggi vengono recensiti solamente 15 giochi, praticamente tutti porting di arcade più o meno famosi come Super Cobra o Tutankamon ma che certo non potevano contrastare l’armata capeggiata da Super Mario e soci.
Chissà con un supporto maggiore di terze parti cosa sarebbe potuto succedere. Rimane un discreto esercizio di stile, con un design forse non esaltante ma una costruzione decisamente solida ed un curioso joystick mutuato dalla tradizione del personal computer.
Se però siete appassionati di retrogaming dal punto di vista collezionistico oppure avete riposto in qualche angolo della vostra casa, magari come ricordo di un viaggio nel Sol Levante, questo pezzo d’altri tempi, sappiate che è una delle console più difficili da trovare e maggiormente valutate. Stime di qualche anno fa parlavano di un valore di 500 sterline.