È ormai da un po’ che Google suscita timori, per l’enorme mole di dati, anche personali, che gestisce e per la grande diffusione che ha nei PC. Hanno anche scritto libri dalla spiccata vena complottista sulle presunte tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica attraverso l’indicizzazione del web.
Nell’attesa che qualcuno fornisca uno straccio di prova su presunti usi illegittimi della sua posizione (aspettiamo anche Ballmer) possiamo soltanto constatare, nonostante la buona volontà dimostrata da Google, che il potere che il motorone di ricerca ha per le mani va gestito con responsabilità, perché è grande, forse troppo.
Il New York Times pensa che ormai Google abbia raggiunto una popolarità tale e una fetta di mercato abbastanza importante da permettere alla compagnia di scambiarsi delle occhiatacce con l’Antitrust statunitense – tra l’altro già ci sono stati i primi scambi di vedute.
Negli ultimi 4 anni Google è cresciuto enormemente nel settore della ricerca: se nel 2005 era primo della classe con il 36% del mercato negli USA, contro un dignitosissimo 30% di Yahoo, oggi Google detiene una quota di mercato che va dal 63% al 70% secondo diversi studi.
Yahoo è Microsoft sostengono di aver raggiunto la stessa qualità di Google nell’indicizzazione delle ricerche, anche se non spiegando secondo quali criteri e filosofeggiano su nuovi approcci alla ricerca.
Secondo Mr. Raghavan (Yahoo) è un errore pensare che gli utenti ricerchino qualcosa, ma va piuttosto intepretata come una volontà di completare un’attività, come ad esempio comprare qualcosa, ed è seguendo quest’idea che Yahoo sta lavorando.
I risultati non cambiano però, Google domina il mercato, e secondo alcuni i risultati ottenuti dagli studi di mercato sarebbero persino conservativi: molti amministratori di siti web – anche molto popolari – analizzando i log degli accessi, vedono arrivare gli utenti quasi esclusivamente da Google.
Google minimizza, spiegando che le ricerche effettuate sul web hanno la velocità di un click e che con la stessa velocità è possibile perdere quanto faticosamente guadagnato fin’ora.
Di tutt’altra opinione è un analista intervistato dal New York Times, che si occupa di motori di ricerca dal 1995, che dice che Google non è più un servizio, ma è sinonimo stesso della ricerca sul web e che ormai non è più un servizio quanto piuttosto un’abitudine che non può essere cambiata in modo indolore.
Tra tutte le persone citate nell’articolo però, nessuna ha mosso delle critiche sulla qualità del servizio, cosa che rende la posizione in cui si trova Google ora meritata, rendendo sicuramente più complesso comprendere se e in che modo la forza commerciale di Google possa rappresentare un problema.