Ci siamo occupati poco tempo fa della presa di posizione di Mozilla contro Microsoft circa il bundling di IE. La notizia più recente riguardo la disputa, riguarda voci secondo cui la Commissione Europea sarebbe in procinto di ingiungere a MS di integrare nell’installazione di Windows, browser alternativi a IE. Voci che seguono di pochi giorni l’affermazione di un executive di Mozilla, secondo cui il bundling non rappresenta una soluzione valida per l’azienda del lucertolone.
Inutile dire che, qualora la decisione definitiva confermasse questo orientamento, si tratterebbe di un precedente epocale per la storia informatica, assestata su decenni sull’istituzione del bundling.
La soluzione ventilata, riguarderebbe anche le edizioni di Windows per telefoni cellulari e lascerebbe aperto uno spiraglio – oltre che per la scelta del browser da usare alla prima installazione – anche per accordi specifici coi singoli OEM riguardanti quale browser integrare nei propri sistemi.
In attesa della decisione ufficiale, cerchiamo di guardare i più immediati aspetti salienti della questione. A quali condizioni un produttore di software potrebbe richiedere il bundling nel sistema operativo? A quali OS commerciali si applicherà questa misura? E poi, nel caso della scelta delegata agli OEM – mi pare tra l’altro che tuttora sia possibile – saranno disposte delle misure atte a scoraggiare MS dall’incentivare gli stessi a usare IE in luogo dei browser alternativi?
Partiamo dal primo quesito, che mi pare il più importante. La soluzione più semplice consisterebbe nel basare la scelta delle soluzioni da includere nel bundle sulla presente quota di mercato. Vedremmo dunque Firefox, Opera, Chrome e Safari – gli ultimi due pur avendo una quota di mercato irrisoria? O andrebbero forse inclusi solo Firefox e Opera, parte attiva nella discussione? Ma come contenere poi le lamentele degli produttori rimasti fuori? E anche una volta inclusi, siamo certi che non spunterebbero altri produttori di browser alternativi – magari creati all’uopo – per rivendicare il loro posto nel DVD d’installazione di Windows?
Ma, una volta abbracciata la teoria del “bundling aperto”, come tener fuori tutti i software alternativi a quelli che arrivano preinstallati in Windows? Sarebbe probabilmente questa la fine del bundling di applicazioni tout-court?
Secondo quesito: in poche parole, riuscirebbe Apple a chiamarsi fuori per OS X? Da una parte ci sarà chi sostiene che Apple ha una quota di mercato minoritaria, la quale condiziona minimamente la quota di mercato dei software che include, dall’altra qualcun altro che sostiene – come dargli torto – che una disposizione deve valere per tutti i soggetti coinvolti. Un bel vespaio insomma.
Terzo quesito: come impedire a MS, nel caso in cui vada agli OEM l’ultima parola, di incentivarli a usare IE? La Commissione dovrebbe forse entrare nel merito dei rapporti commerciali fra un’azienda e i suoi partner? Anche qui la questione è aperta: ci sarà chi griderà alla morte del libero mercato, chi invece ricorderà che gli accordi commerciali fra titani – inaccessibili a operatori minoritari – rappresentano un’ottima chiave per imporre al mercato condizioni anticoncorrenziali.
In ultima analisi, e nell’attesa del pronunciamento definitivo, c’è moltissima carne al fuoco, e forse poco tempo rimasto per fare le valutazioni ponderate e approfondite che la questione meriterebbe.
In attesa di ulteriori aggiornamenti vi lascio il mio personalissimo parere: non sono un fan del bundling, l’ho detto molte volte, e credo che storicamente non abbia fatto bene al mercato perché ha disabituato l’utenza a scegliere sulla base di una valutazione dei meriti tecnici. Il problema è che dopo lustri in cui il mercato si è assestato sulla pratica consolidata del bundling, è difficile imporne per legge un riassetto, e soprattutto sperare che questo provvedimento dall’alto sortisca gli effetti sperati.
Ritengo indispensabile il ruolo dell’antitrust e degno della massima attenzione il caso MS. Mi piacerebbe tuttavia vedere la Commissione Europea entrare più nel merito dei fatti tecnologici, istituire autorità qualificate e indipendenti, capaci prima di elaborare – al netto dell’influsso di lobby economiche, politiche ma anche ideologiche – condizioni di partenza uguali per tutti circa standard, interoperabilità, competizione e poi, solo poi, applicarle con il rigore che serve.