Nei primi anni ’90 la realtà virtuale era una delle parole più in voga nel mondo.
Brett Leonard colpiva la fantasia del pubblico cinematografico nel 1992 con Il Tagliaerbe e successivamente con il meno conosciuto Virtuality (una delle prime prove sul grande schermo di Russell Crowe).
La pubblicità spingeva su questo concetto per cercare di vendere un prodotto tecnologico/elettronico e nemmeno l’industry dei videogiochi, che si stava avvicinando sempre di più a Hollywood, poteva rimanere indifferente a questo nuovo fenomeno.
Il Sega MegaDrive era forse all’apice della sua popolarità con l’uscita di Sonic The Hedhehog, il porcospino mascotte simbolo della casa giapponese ed ancora non avvertiva pressante la concorrenza del Super Nintendo risultando, al momento, il vero protagonista della quarta generazione.
I dirigenti, soprattutto la divisione giapponese capeggiata dal CEO Hydeo Nakayama, credevano fortemente nel concetto di espandibilità.
Nel 1991 infatti era uscito lo sfortunato MegaCD, il primo add-on di una sfortunata serie che vide tra gli altri il Master System Power Converter e poi il 32X: tentativi, miseramente falliti, per cercare di ampliare l’offerta ludica dei possessori del MegaDrive e che probabilmente furono le prime spie di una crisi decisionale e di vedute all’interno della stessa Sega (crisi che come sappiamo tutti portò poi all’abbandono dell’industry per quanto riguarda il settore hardware).
Il VR dunque nasce all’interno di questo contesto e di questa visione.
Sempre nel 1991 viene annunciata alla stampa la sua futura commercializzazione. Basato sui modelli di allora e sulla tracciatura dei movimenti veniva presentato come un HMD, in grado di interpretare le gesture della testa e con un display montato all’interno del visore. Il suono stereo contribuiva la persona che indossava l’attrezzatura ad essere immerso in questo sorta di nuovo ambiente fittizio.
Il concept funzionava bene, forse troppo bene dato che i betastester dell’epoca segnalarono sintomi di mal di testa e di disorientamento ribattezzati poi come cybersickness.
Al Consumer Electronic Show (alias CES) del 1993 fece la sua comparsa in pubblico e per un anno ci fu una campagna di marketing molto pressante per convincere il pubblico che quello sarebbe stato il futuro.
Nel frattempo però il mercato stava radicalmente cambiando, la nuova generazione si era affacciata con Panasonic, Sonic e Atari (e Sega stessa) mentre il Super Nintendo stava acquisendo i consensi che una volta appartenevano al MegaDrive.
Quindi nel 1994, insieme ai 4 giochi annunciati, il VR cadde nel dimenticatoio anche se trapelarono voci per un approdo su Sega Saturn e rimase un prototipo unreleased.Nintendo provò a cavalcare il trend con il progetto Virtual Boy, una console tecnicamente però meno valida, dato che offriva uno pseudo-effetto 3D con dei rendering poligonali contraddistinti da un colore rosso acceso; limitato anche perché non offriva una vera “esperienza portatile” a causa del bizzarro cavalletto che era parte integrante del suo design.
L’espressione realtà virtuale contraddistinse anche un paio di titoli molto famosi perché provenienti dal mondo arcade e coin-op come Virtua Racing e Virtua Fighter, creature anch’esse della Sega e del team AM2 di Yu Suzuki, ma con il tempo ha perso il suo fascino. Ora l’esperienza grafica è probabilmente di un altro pianeta rispetto a quei tempi ma a parte la ricerca del “fotorealismo”, siamo forse tornati un po’ più con i piedi per terra.