In questi mesi ci siamo occupati, tra le altre cose, dei flop che hanno caratterizzato l’industry in particolar modo durante il decennio tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90. Nella pletora di console uscite in quel periodo abbiamo fatto riferimento anche all’Atari Lynx protagonista senza successo di un’avvincente lotta (quel poco che è durata) nel segmento handheld cosiddetto o “portatile” come siamo soliti tradurre il termine anglosassone.
Ma anche la Sega, che era insieme a Nintendo la vera dominatrice del mercato, decise di non poter restare a guardare e così nel 1990 fece la sua comparsa il Game Gear.
Tanta era la sua potenza computazionale per l’epoca quanto fu snobbata letteralmente dal mercato. D’altra parte ormai lo abbiamo capito: gli insuccessi, nel bene e nel male fanno parte della storia dei videogiochi.
Solitamente le case produttrici giapponesi facevano debuttare i propri gioielli prima nella madrepatria, non solo per privilegiare i connazionali ma anche perché forti della presenza radicata nel territorio e contando sul fatto che siano più conosciute rispetto ad altri Stati oltreoceano, questo costituisse un’ulteriore spinta e termometro di gradimento del nuovo prodotto presentato.
Il Game Gear in questo senso fu un fallimento già dall’inizio; l’accoglienza per descriverla con un eufemismo fu assolutamente fredda tanto che le unità vendute nella prima settimana furono pare inferiori alle 10 mila. Un dato assolutamente scoraggiante. E la domanda è perché?
Le caratteristiche hardware come abbiamo già scritto erano di tutto rispetto:
- CPU: Zilog Z-80 8 bit clock 3,58Mhz
- RAM: 24KB (di cui 16 VRAM)
- Video: processore dedicato TMS9918 schermo LCD da 3.2″ con risoluzione 160*146 palette da 4096 colori di cui 32 visualizzabili contemporaneamente e 64 sprite
- Audio: processore dedicato Yamaha YM2413 con 4 canali mono, stereo tramite cuffie
- Supporto: cartuccia
- Autonomia: 5 ore dichiarate con un set di batterie (6 AA)
Nonostante la dotazione fosse inferiore per certi versi ai concorrenti Atari Lynx e PC Engine GT, lo schermo, grazie ai 4096 colori, rappresentava un piccolo gioiello tanto che i dirigenti Sega pensarono di sviluppare il famigerato TVTuner che consentiva appunto di beneficiare sulla console dei contenuti proposti dalle televisioni.
Il sottosistema era praticamente la fotocopia del Master System che però era in grado di visualizzare un massimo di 481 colori contemporaneamente, caratteristica che non permetteva di giocare sulla console da salotto i titoli del cugino portatile.
Veniamo quindi alle note dolenti. L’ergonomia era un problema. Con un peso vicino al mezzo chilo (400 grammi per l’esattezza) e dimensioni in millimetri di 209*111*37 il concetto di portabilità non si sposava granché con quello di comodità.
Naturalmente l’evoluzione del design e la miniaturizzazione la si deve comparare con quell’epoca (quindi quasi vent’anni fa) però le esigenze della domanda sono sempre le stesse e queste vennero decisamente sacrificate per proporre una grafica che fosse superiore alla media.
Un altro fattore determinante nel poco gradimento dell’audience fu l’autonomia. Seppur le ore dichiarate fossero 5 in realtà con un gioco esoso in termini di risorse qual’era per esempio Mortal Kombat (porting del celebre picchiaduro da coin-op) queste si riducevano notevolmente e difficilmente si arrivava alle due ore effettive di utilizzo.
Un terzo motivo fu il costo per l’utente finale. Il prezzo iniziale stabilito era di 149$ contro i 90 circa del Gameboy, mentre in Italia la cifra venne convertita nell’assurdo prezzo di 249 mila lire.
Ma la vera ragione del flop forse annunciato in casa Sega fu la scelta di far uscire la propria console con ben un anno e mezzo di ritardo rispetto al competitor Nintendo (aprile ’89 contro ottobre ’90 per quanto riguarda il mercato giapponese), che, grazie a titoli del calibro di Tetris e Super Mario, aveva decisamente fatto preso nel gradimento del giovane pubblico consumatore di videogiochi.
Non ho citato la soft-teca Sega perché effettivamente era l’unico punto in grado tutto sommato di dire la propria: Sonic, il già citato Mortal Kombat, Streets of Rage, Bubble Bobble erano nomi decisamente di richiamo e che potevano avere una forte presa nella considerazione dei potenziali acquirenti.
Ed in effetti nella competizione “portatile” il Game Gear, il cui supporto finì nel 1997, arrivò secondo facendo registrare una vendita complessiva di 11 milioni di unità; il dato va però sempre confrontato rispetto al contesto e comparato ai 120 milioni del Gameboy, appare davvero poca cosa.
Nel mercato del retrogaming le cose non vanno meglio e edizioni limitate a parte (tra le quali spiccano la Coca Cola Edition, la Virtua Fighter Kids che potete “ammirare” in un commercial giapponese e la White con sole 10000 unità prodotte), il suo costo si aggira intorno ai 40 Euro se ben tenuto e provvisto di scatola.
Povero Game Gear.