A Cannes, in occasione del Midem 2009, rispunta una proposta che da anni aleggia attorno al fenomeno del download illegale di musica. Responsabilizzare gli ISP, imponendo un balzello minimo per ogni utente connesso, potrebbe secondo Gerd Leonhard – un “digerato” di vecchia data – produrre un lauto volume d’incassi per l’industria dell’intermediazione musicale.
La dichiarazione di Leonhard, che stima l’eventuale contributo nella bella sommetta di 6 miliardi di Euro l’anno – chiedendo 1 Euro/mese ad ogni navigatore – fa il paio con una contemporanea presa di coscienza da parte delle major, nella persona di Feagar Sharkey, numero uno della UK Music: la battaglia in tribunale contro il download illegale non ha prodotto risultati.
Dopo la tassa sui supporti, potremmo dunque ritrovarci a dover pagare una addizionale sull’abbonamento ADSL, incorporata nel contratto. La proposta ha un alto potenziale esplosivo ma merita un’analisi attenta.
Premetto che da che mondo è mondo l’arte non esiste senza chi la finanzia, e che il lavoro degli artisti che scelgono di entrare in un circuito commerciale, va remunerato. È pure vero che l’intermediazione delle major ha assorbito finora il grosso della ricchezza che si muove attorno al mondo musicale.
Difficile dunque controbattere a chi sostiene che il fervore con cui le major si sono scagliate contro la rete, è stato ed è direttamente proporzionale ai margini che queste aziende si sono abituate a collezionare prima del web.
Come ogni industria tuttavia deve adeguarsi alle condizioni del mercato, anche quella dell’intermediazione musicale non può ignorare la rivoluzione della rete. Ci ha provato per anni, non ci è riuscita, ed ora sembra pronta a fare ammenda dell’irragionevole resistenza opposta finora. Una resistenza che, attraverso massicce azioni di lobbying, ha prodotto effetti disastrosi sul tessuto legislativo della quasi totalità dei paesi occidentali, per mano di politici spesso tanto ossequienti quanto incompetenti.
La sempre più frequente presenza di musica non protetta sui cataloghi dei servizi legali per il download, sembra indice di questo mutato atteggiamento nei confronti della rete.
Veniamo al nocciolo della proposta di Leonhard: un canone minimo e flat da aggiungere all’abbonamento ADSL, per sostenere l’industria. In cambio, download illimitato di musica.
La leggerezza del canone induce a ritenere la proposta equa, cionondimeno si pone un problema: chi paga quell’Euro? Poniamo la questione in termini inversi: quanto ha inciso il P2P nella desiderabilità della banda larga? Quanti utenti ritegono l’accesso al P2P una base fondante della necessità di avere un’ADSL?
Questa domanda è particolarmente appropriata se guardiamo alle prime fasi del boom della banda larga. Quando cioè i prezzi erano esorbitanti e non esisteva un’offerta di contenuti multimediali online che giustificasse da sola l’allargamento del “tubo”.
In quell’epoca il P2P ha senza dubbio incrementato l’attrattività della banda larga, laddove l’accesso dial-up poteva fornirne un’esperienza a dir poco deprimente.
Nella misura in cui ciò è accaduto, è legittimo ritenere che gli ISP abbiano in parte lucrato sulle perdite delle major. Per inciso, erano quelli gli anni in cui molti utenti hanno iniziato a riempire gli hard disk di musica e filmati scaricati illegalmente, un trend peraltro mai interrotto, che si è trasformato in un solido indotto per i produttori di soluzioni di storage.
Alla luce di queste considerazioni, diventa accettabile l’idea dell’equo compenso, sull’ADSL ma anche sullo storage. Ma è giusto che il costo di queste tasse ricada, come già nel caso dei supporti, interamente sulle spalle degli utenti? Ed è accettabile che, come già dopo l’applicazione dell’equo compenso sul prezzo dei supporti, anche dopo questo balzello sulla connessione, gli utenti continuino ad essere perseguibili legalmente per lo scaricamento di opere protette?
La risposta è no, no. Tuttavia la depenalizzazione dello scaricamento di contenuti protetti non accadrà fino a quando non busseranno alla porta degli ISP – e quindi alla nostra – le altre due industrie che a ragione si ritengono danneggiate dallo scaricamento illegale di contenuti protetti: quella del software e quella cinematografica.
Pur ritenendo insostenibile e totalmente estemporanea l’equiparazione fra un download e una mancata vendita, è infatti innegabile che il download illegale danneggi in qualche misura l’industria che produce e distribuisce contenuti.
Per farla breve, l’opinione di chi scrive è che questi balzelli vadano condivisi fra tutti gli attori coinvolti – utenti, ISP, produttori di storage ma anche major, nella misura di margini adattati alla realtà del mercato – e comunque vadano assolutamente accompagnati da una ormai improrogabile riscrittura delle norme sul diritto d’autore, che tenga conto dei profondi mutamenti portati dalla rete.
Solo dalla condivisione fra tutti gli attori coinvolti, di vantaggi e responsabilità legati al diritto d’autore, potrà discendere un mercato realmente aperto e capace di cogliere tutte le opportunità che la rete offre.
PS Un interrogativo inquietante irrompe nel consolante lieto fine: e se, con la rete, dell’intermediazione delle major non ci fosse più bisogno? Se il compenso, come sostiene la EFF da tempo, si decidesse di destinarlo interamente agli artisti?