Nel periodo dei bilanci e le statistiche per l’anno appena concluso IBM si vanta di aver registrato in un solo anno la bellezza di 4186 brevetti. In questo campo la compagnia statunitense continua a macinare record (di IBM anche il brevetto più lungo in assoluto per numero di battute) e se ne vantano anche. Più di 4000 brevetti sono tanti: il triplo di HP e più di HP, Microsoft, Google, Apple, Oracle, EMC e Accenture tutte insieme.
Contemporaneamente i vertici IBM hanno annunciato di voler aumentare a più di 3000 le pubblicazioni di invenzioni, preferendole ai brevetti per dare impulso all’innovazione e all’economia in recessione. O almeno così dicono.
Big Blue è un esempio di quanto la ricerca possa essere remunerativa. La compagnia negli ultimi anni si è sganciata da diversi settori produttivi e commerciali in cui aveva una posizione consolidata che presentavano margini di guadagno sempre più striminziti a causa dei costi sempre in discesa e concorrenza sempre più agguerrita (ricordo ad esempio la divisione storage ceduta a Hitachi, e il settore PC venduto a Lenovo), concentrando gli sofrzi nella ricerca tecnologica a tutto campo e nelle soluzioni informatiche nel settore enteprise, in cui l’innovazione è pagata a caro prezzo dai committenti.
Tra i settori in cui IBM è presente con grandi risorse, possiamo sicuramente menzionare la ricerca medica, le nanotecnologie e le tecnologie votate all’integrazione sempre più spinta nei chip di silicio.
Non mancano poi spiragli di fantascienza con studi che puntano all’emulazione di cervelli di supercalcolatori.
Vedere un’azienda così in salute, che in piena crisi mondiale assume migliaia di lavoratori, fa rimpiangere l’Italia dei bei tempi, quando le aziende di questo Paese facevano scuola, prima di venire spolpate da sciacalli e corrotti. Allo stesso tempo però qualche riserva andrebbe avanzata.
Una tale mole di registrazioni, tutela sì IBM, ma può penalizzare, oltre ai concorrenti, anche il mercato stesso.
4187 brevetti rappresentano 4187 possibili paletti all’innovazione da parte della concorrenza.
La mente umana funziona per associazione, rielabora e smonta e ricompone quello che ha intorno sotto altre sembianze, decontestualizzando quello che apprende per dare forma a nuove possibilità in tante discipline, ma che alla fine seguono gli stessi percorsi e gli stessi principi.
Una volta compreso questo non è difficile immaginare che una determinata idea, possa essere elaborata da diversi individui, anche distanti fisicamente, ma inseriti nello stesso contesto storico e culturale.
Si potrebbe quindi dire che stiamo assistendo quasi ad una sorta di monopolizzazione dell’ingegno in determinati settori. Il problema peggiora perché prodotti derivati da tali brevetti, che poi entrano a far parte integrante della nostra vita o di un determinato percorso tecnologico-scientifico, sempre per via della nostra natura, sono destinati a diventare la base delle evoluzioni tecnologiche e ingegneristiche successive. Il possesso di un brevetto rende necessario il pagamento di diritti d’uso, anche da parte di chi lo evolve e lo migliora, o lo utilizza come parte di una nuova idea.
Teniamo sempre presente che se il motore a scoppio che ha invaso il mondo e reso possibili i moderni trasporti, la generazione di elettricità e una forte evoluzione tecnologica dell’industria,con una costante evoluzione tecnologica, lo dobbiamo anche al fatto che il brevetto che ne attestava l’invenzione oramai è scaduto da più di un secolo.