Si è fatto un gran parlare dei gruppi che nascono su Facebook attorno a temi poco seri, se non addirittura offensivi, politicamente scorretti, criminali. Come al solito si sono scatenati i tromboni: quelli che di mestiere sembra stiano accovacciati ai margini del mondo online, per assalirlo alla prima occasione con la consueta, reiterata sequela di banalità.
Gente fondamentalmente ignorante nel merito, e dunque timorosa come si è timorosi di ciò che non si capisce, ma ancora peggio furba, perché consapevole della sua presa su persone nel merito ancora più ignoranti, come sono spesso i fruitori di media generalisti.
Gente che dimentica convenientemente ciò su cui pure aveva trovato da polemizzare, i fan club di Pietro Maso tanto per dirne una, nati prima di Facebook, in epoche non sospette. Epoche in cui questa rispettabile società non era contaminata dai bubboni pestilenziali della rete, eppure trovava modo di essere ugualmente deprecabile e deprecata.
Ma torniamo a Facebook e al tema di questo “rant”, ossia i gruppi di fan di quell’assassina, di quel satanista o quell’altra organizzazione criminale. Secondo una logica invertita dalle condizioni tecnologiche, il problema non si individua nella radice ma nel fusto: ciò che alcuni contenitori della rete catalizzano è esattamente quella produzione di masse critiche attorno a fenomeni incompresi o semplicemente irrilevanti; una produzione che crea in un batter d’occhio torri di Babele senza fondamenta.
Ecco che tramite FB si creano gruppi di proporzioni rilevanti attorno alle più grandi sciocchezze, dagli anti-Giusy Ferreri fino ai più preoccupanti ma ugualmente innocui fan della mafia.
Non c’è personaggio o movimento di qualche visibilità che non sia oggetto di un gruppo pro, contro o magari entrambi. Ma sono gruppi che si formano attorno a nient’altro che la facilità di fare un clic su “accept invitation”, non certo sulla conoscenza e ancor meno comprensione di qualsivoglia fenomeno.
Succede quello che succedeva quando eravamo piccoli e ci atteggiavamo da tifosi sfegatati di una squadra o l’altra per il solo gradire più o meno i colori della maglia, o da partigiani di una causa politica per il solo apprezzarne la parte più insulsa e/o esteriore.
Tutto questo per dire che ciò che nasce in Facebook in Facebook muore e c’è davvero poca continuità fra un fenomeno che si sviluppa nella sfera dell’intrattenimento e un movimento, a cui si aderisce con consapevolezza, in cui si decide di accorciarsi le maniche e faticare un pelo più – di braccia o di mente – di quel che basta per cliccare “accept”.
I tromboni potrebbero dunque dormire su sette guanciali, se quello degli “indignati dal nuovo che avanza” non fosse il mestiere che gli vale ogni mese la pagnotta.
PS Sull’altra faccia della medaglia c’è una situazione altrettanto “inquietante”: ieri l’altro sono per esempio diventati tutti “fan” di De Andrè, come già si contano quasi 30.000 “fan” di Borges, più di 13.000 di Calvino e qualche migliaio di Carmelo Bene (!!!), Gurdjieff, Platone, Aristotele, Gesù, Maria e l’Arcangelo Gabriele. Ma, così come i “fan” di Riina non impugneranno mai coppola e lupara…