Nello scenario musicale online c’è un ultimo baluardo del vecchio business, che resiste da anni al cambiamento prima suggerito, poi praticamente imposto, dalla rete: parliamo del DRM.
Protagonista di questo scenario, dunque da sempre chiamata a conciliare le spinte del mercato (no al DRM) con quelle dell’industria (viva il DRM), è Apple, che con iTunes ha praticamente creato il mercato che domina.
Un mercato che da anni conosce crescite vertiginose – 1 miliardo di canzoni vendute da aprile 2003 a febbraio 2006, 5 miliardi venduti al 19 giugno 2008 (Wikipedia).
Un mercato che tuttavia, da gennaio 2008, vede l’ingresso di un nuovo concorrente, Amazon, che con musica Mp3 (senza DRM quindi) a prezzi stracciati, e un rispettabilissimo catalogo di 5 milioni di brani, promette una lotta senza quartiere al colosso di Cupertino.
Sotto la spinta di di Amazon Mp3 – dalla settimana scorsa disponibile anche in UK – Apple si trova a un bivio: arroccarsi sulla sua quota di mercato e continuare sulla strada conosciuta o piuttosto seguire i passi del concorrente e trattare con le major la conversione del catalogo verso un formato DRM-free.
In che direzione andrà?
Le parole di Steve Jobs, nella lettera aperta Thoughts on music di febbraio 2007, sembrano fornire chiare indicazioni in direzione dell’abbandono del DRM:
La terza alternativa [oltre a continuare così o dare in licenza il DRM di iTunes] è abolire il DRM. Immaginate un mondo dove ogni negozio online vende musica DRM-free codificata con formati aperti. In questo mondo ogni lettore può riprodurre musica comprata in ogni negozio, ed ogni negozio può vendere musica riproducibile su ogni lettore. Questa è chiaramente la miglior alternativa per i consumatori, ed Apple l’abbraccerebbe in un baleno. Se [Universal, Sony BMG, Warner ed EMI] dessero in licenza la loro musica senza richiedere protezione DRM, inizieremmo a vendere solo musica DRM-free su iTunes store. Ogni iPod mai costruito sarebbe in grado di riprodurre questa musica.
Seguono considerazioni circa l’inutilità del DRM per fermare la pirateria e dati riguardanti il numero di CD venduti, che contengono un quantitativo di musica non protetta multiplo di quella venduta online.
Strano, alla luce di queste considerazioni, osservare che il primo store online totalmente DRM-free, a prezzi scontati, non sia stato lo stesso iTunes. Interessante e molto indicativo della volontà delle major di creare un mercato più concorrenziale e controbilanciare il potere di Apple sul tavolo delle trattative. Ma non solo.
Con iPod saldamente leader fra i lettori multimediali, per Apple c’è poco mercato da guadagnare a vendere musica libera per altri lettori. Il fatto che musica più economica possa entrare in iPod – per giunta tramite iTunes, grazie all’integrazione del music downloader di Amazon nella piattaforma Apple – mette invece a rischio la quota di mercato di iTunes e rende per Apple cruciale l’insistenza sull’integrazione fra il lettore e l’iTunes Music Store.
Una strategia di arroccamento sulla propria quota di mercato, diventa dunque per Apple un salvacondotto contro una paventata guerra dei prezzi – non dimentichiamo che un paio di mesi fa è stata minacciata la chiusura di iTunes a fronte di un ventilato aumento delle royalty per brano acquistato da 9 a 15 centesimi di dollaro.
Un salvacondotto che durerà però solo quanto il vantaggio maturato da iTunes e iPod permetterà, fermo restando che, se nel frattempo lo store di Amazon faticherà a guadagnare quota, le major dovranno tornare dolorosamente sui propri passi.
Quale che sia l’esito di questa vicenda, l’iniezione di concorrenzialità portata da Amazon è estremamente benefica per il mercato e segna la lungamente attesa disponibilità delle major a ridimensionare i propri obiettivi di lucro. Per cantare il deprofundis del DRM sarà comunque necessario attendere le contromosse del leader di mercato.
Fra le righe emerge tuttavia l’estrema volatilità dei proclami idealistici di Jobs quando posti su un banco di prova pratico. Se anche l’annuncio di Apple arrivasse domani, un anno di ritardo rispetto al competitor pone in forte discussione la serietà delle intenzioni manifestate nel 2007.